La proposta è semplice: organizzare una “maratona della disabilità”. No, non si tratterebbe di un evento paralimpico o comunque di una manifestazione aperta ad atleti con disabilità e neppure si correrebbe o si andrebbe di passo svelto, perché i simbolici partecipanti – le famiglie delle persone con disabilità gravissima, che necessitano (sia le persone stesse che le loro famiglie) di supporti assistenziali di particolare intensità e qualità – non ne avrebbero la forza.
Per essere ammessi alla “maratona” sarà richiesto unicamente di amare, crescere, sostenere, abilitare, riabilitare un figlio con disabilità gravissima che – talvolta malgrado una prognosi infausta – perdura e vive “tra di noi” per dieci, venti, trenta e più anni.
Vedremo allora vecchi genitori carichi di anni e di fatica assistenziale, alzare orgogliosamente la fronte, solitamente china per necessità professionale, che invece di tagliare il traguardo, lo sposteranno più in là, facendo bene attenzione a non tagliare il nastro che unisce la loro esistenza a quella del figlio.
Presidenti e Ministri di questa povera Italia, terra dei “pavidi”* e patria dei “prigionieri”*, scendete dai vostri scranni d’oro e velluto cremisi (attenti a non cadere!) e venite a darci una mano. A far cosa? Ma naturalmente a spostare il traguardo un po’ più in la!
*“Pavidi” e “prigionieri” sono coloro che temono la disabilità e vivono “segregati” dai loro pregiudizi verso di essa.
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