Credo probabilmente di avere stufato i miei già scarsi Lettori, con la mania di proporre frasi a duplice o triplice senso. E tuttavia, essendo le cattive abitudini solitamente più tenaci dei buoni propositi, ci ricasco. Ovvero: come licenziare chi non lavora?
Apriti cielo! Adesso questo noioso rompiscatole – al quale solo gli amici più benevoli riconoscono rari momenti di ingegnosità – si è messo in testa di occuparsi pure di “indovinelli sulla legislazione sociale”! No, non temete, pazienti e rarissimi Lettori miei, chiarisco subito.
In Italia, per essere socialmente tutelati, è necessario correre il rischio di essere licenziati, ma per poter essere licenziati è necessario prima lavorare. Chi però non è in grado di lavorare è escluso da buona parte della tutela offerta dalla legislazione sociale, basata appunto sulla difesa dal rischio di licenziamento. E chi poi non rientra infine nel rigido sistema di supporti divisi per categorie specifiche rischia, di avere scarsissime protezioni, giacché il sistema stesso non contempla di per sé la “persona umana” o il “nucleo familiare” nelle sue mutevoli necessità.
Una tale categorizzazione della persona umana è talmente radicata nel “ragionare sociale”, che ogni aiuto esistenziale viene definito solo in base a capitoli di spesa.
Ebbene, un forte contrasto a tali abitudini mentali viene oggi espresso dalle persone con disabilità, che richiedono con forza il reperimento dei fondi necessari alle loro inderogabili esigenze esistenziali e non l’insopportabile compressione di queste ultime, per un rigido e disumano rigore di bilancio.
P.S.: confesso di avere “piratato” pensieri e parole di Chiara Bonanno, che ringrazio per avermi aperto gli occhi su questi temi.
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