«Quando da bambino sono divenuto disabile, ho cominciato a vedere la vita con una luce diversa. E adesso corro velocissimo, grazie a una protesi in carbonio che è diventata la mia “ala al piede”». Sono parole di Francesco Comandè, ventiquattrenne di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, di cui raccontiamo la storia oggi.
Francesco è un ragazzo solare, vivace, che ama scoprire le cose, curioso e desideroso di correre. Ma non l’ha più potuto fare da quando, all’età di 11 anni, ha avuto un brutto incidente, a causa di un trattore nelle campagne del suo paese. Nonostante l’amputazione della gamba, ha trovato dentro di sé la forza per non abbattersi e per non disperarsi. Soprattutto non riusciva a sopportare – più ancora che la stessa perdita dell’arto – la pena e il dolore che i genitori e i fratelli provavano per lui e allora ha voluto reagire anche per loro.
«A quell’età – racconta Francesco – l’unica cosa alla quale pensavo era giocare e divertirmi con gli altri bambini. L’amputazione è stata una cosa più grande di me che non capivo; però, da buon calabrese, sono testardo e non mi sono mai arreso. Ho affrontato le lunghe ospedalizzazioni sempre con il sorriso sulle labbra. Ho fatto tanti di quegli interventi che avrebbero demoralizzato il più forte degli uomini: uno ogni due settimane e per un anno intero. Poi una notte ho sognato San Pio da Pietrelcina, al quale sono molto devoto, che mi diceva che non avrei dovuto mollare mai. Spesso i credenti dicono che ognuno ha la sua Croce da portare in spalla, io ho la mia gamba!», conclude scanzonato.
«Ho avuto dei compagni di scuola fantastici – prosegue poi -, che non mi hanno mai fatto pesare che io avessi un piccolo problema». Lo stesso, però, non si può dire della gente. Francesco, infatti, ci racconta che quando ha potuto, la prima cosa che ha fatto è stata di andare al mare. Ma è stato traumatico. Perché c’erano delle mamme che imponevano ai propri figli di non guardarlo a causa dell’amputazione. Lui rimase molto scosso da quella cosa e per molti anni non andò più al mare.
«La mia vita – ricorda quindi – ha avuto una vera e propria svolta, quando ho incontrato Giusy Versace [la nota atleta di origine calabrese amputata agli arti inferiori, N.d.R], che mi ha stuzzicato a praticare lo sport. L’avevo vista in TV, lei diceva grandi cose del fatto di correre con delle particolari protesi, come quelle di Oscar Pistorius, e io rimuginavo sul fatto che se si poteva correre senza le gambe, perché non avrei potuto farlo io con una gamba sola? Così ho cercato in tutti i modi di avvicinarmi a Giusy, tempestandola letteralmente di messaggi su Facebook, come uno spasimante! Alla fine siamo diventati amici e ha iniziato ad aiutarmi, facendomi conoscere l’ex presidente del Comitato Italiano Paralimpico (CIP) della Calabria Titti Vinci».
Grazie a Vinci, dunque, da due anni Comandè è tesserato con la società reggina Asved con noi, che si occupa della pratica sportiva di bambini e giovani con disabilità. «E così in breve tempo ho vinto tre titoli regionali e medaglie d’oro nel lancio del peso, del disco e del giavellotto. Quest’anno, poi, ai Campionati Indoor di Ancona, ho vinto due medaglie d’argento nei 100 e nei 200 metri e sono arrivato terzo nella finale del lancio del disco».
Sembra incredibile che questi risultati il giovane atleta calabrese li abbia ottenuti solo tre mesi dopo avere iniziato a provare una nuova protesi in carbonio. Queste “ali” fantastiche per chi le gambe non le ha, sono molto costose e irraggiungibili. Ma grazie all’Associazione Disabili No Limits, presieduta proprio da Giusy Versace, che si è occupata della raccolta fondi per l’acquisto di protesi e carrozzine, Francesco ha potuto finalmente correre, dopo undici anni dall’incidente.
Testardo e determinato, è lui stesso a renderci partecipi del sogno che desidera realizzare: «Con la mia società, ci siamo prefissati un’obiettivo grandioso: partecipare alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016!». E noi glielo auguriamo di cuore.
A margine infine a questa nostra intervista, Francesco desidera fare un appello alle Istituzioni affinché ci sia un’attenzione maggiore nei confronti delle persone con disabilità che, sottolinea, «non sono un mondo a parte, ma parte integrante del tessuto sociale. Un appello doveroso, che proviene dal Sud, dove ci sono ancora tante persone con disabilità che vivono isolate. In particolare, faccio un appello alle famiglie di alcuni miei amici disabili, affinché escano dall’isolamento casalingo e diventino parte attiva della società, reclamando con forza i diritti basilari spesso negati, iniziando proprio dalla pratica dello sport, che restituisce autostima e forza d’animo a quanti hanno delle limitazioni fisiche».