Ha l’apparenza di una buona notizia: rifinanziato il Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza. Finalmente, dopo essere stato azzerato dall’ultimo Governo Berlusconi, torna a vivere nel Bilancio dello Stato. Poi si va a vedere la cifra, e si resta interdetti, quasi increduli: 200 milioni in tutto, per le diverse e tante situazioni di gravità e di non autosufficienza.
Troppo poco, lo si capisce a occhio nudo. Sì, perché la cifra tonda di 500 milioni per il sociale, comunicata all’intero mondo, comprende in realtà due fondi ben diversi: il Fondo Nazionale per le Politiche Sociali, cui sono stati assegnati 300 milioni (ma che comprende, fra l’altro, ogni tipo di emergenza, a partire dal terremoto) e appunto quella per la Non Autosufficienza, con 200 milioni.
Provo a essere indulgente: questo è solo un “grimaldello”, messo lì per sparigliare le carte e riaprire un giro di tavolo. La Commissione Bilancio, si sa, sta rovistando in fondo al barile della spesa, per mantenere inalterate entrate e uscite della Legge di Stabilità. Magari tocca ad altri, al Presidente del Consiglio, al Governo nel suo complesso, al Parlamento in ultima istanza, decidere autonomamente e in modo più coraggioso su una materia così delicata e decisiva.
Ma a ben guardare questi 200 milioni messi lì, come una concessione al sentimento generale, di fronte alla drammatica protesta delle persone malate di SLA (sclerosi laterale amiotrofica), che hanno avviato, sospeso e ripreso lo sciopero della fame e che adesso minacciano ulteriori forme di protesta, durissima e pericolosa per la loro stessa sopravvivenza, suonano stonati, quasi una forma di precauzione nel caso la situazione dovesse sfuggire di mano, di fronte a un evento estremo, che nessuno vuole nominare, che tutti a parole vogliono scongiurare, ma che di fatto si sta quasi materializzando, giorno dopo giorno.
Il mondo dei media – come abbiamo già avuto modo di rilevare su queste stesse pagine – ha gestito malamente la vicenda dei malati di SLA: è sembrata, in quasi tutti i servizi televisivi, una richiesta di fondi solo per chi è alle prese con i costi insostenibili determinati da questa patologia progressiva, che comporta la totale dipendenza da un’assistenza 24 ore al giorno. Ma loro, le persone malate di SLA, non lo hanno mai detto. Anzi, continuano a scrivere e a ribadire che la loro battaglia è più vasta, ed è a favore di tutte le persone in situazione di non autosufficienza, quale che sia la loro patologia invalidante.
Questo è un punto fondamentale, condiviso del resto dalle associazioni, ad esempio da quelle della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che da tempo si battono ad ogni livello per rimettere al centro delle politiche per la disabilità proprio la realtà delle persone, i progetti di vita, l’assistenza personalizzata.
Stiamo parlando non di un centinaio di persone esasperate e pronte a tutto, ma di migliaia di cittadini e di famiglie, ai quali ormai da tempo sta venendo a mancare qualsiasi vero sostegno economico e assistenziale, soprattutto in alcune Regioni. I finanziamenti poi, già ridotti, non vengono mai distribuiti tenendo conto dell’incidenza territoriale delle patologie gravemente invalidanti, ma delle percentuali generiche di popolazione residente.
È difficile parlare di questo dramma senza restarne sconvolti e colpiti. Lo sciopero della fame, ad esempio, in passato è stato lo strumento scelto da persone in normali condizioni di salute per dare più forza a una battaglia ideale che molto spesso non le riguardava direttamente e individualmente. Un’arma politica potente, che perde di efficacia se non raggiunge il risultato sperato, ma che, una volta interrotto il digiuno, consente di riprendere lo stato di salute iniziale. Qui non è così: le persone malate di SLA che hanno scelto lo sciopero della fame come forma di protesta sanno perfettamente che rischiano di minare in modo definitivo il loro fisico già provato dalla malattia. La morte come esito estremo è ben presente alla loro mente, e lo scrivono con una lucidità impressionante.
Oggi, poi, viene annunciato un ulteriore “salto di qualità”: il 21 novembre, davanti al Ministero dell’Economia ,alcune persone in carrozzina, che devono usare un ventilatore polmonare esterno per respirare, si toglieranno la mascherina, fino a quando il respiratore terminerà di funzionare, a batterie scariche. La conseguenza potrebbe essere la morte per soffocamento. Lo scrive il Comitato 16 Novembre (Associazione Malati SLA e Malattie Altamente Invalidanti) nel blog che raccoglie adesioni e iniziative.
Non posso accettare neppure l’idea che tutto questo possa davvero accadere nel nostro Paese. A nome del Comitato, Salvatore Usala, ripropone un possibile emendamento, che richiederebbe uno stanziamento doppio, almeno 400 milioni di euro, con modalità ben precise di erogazione e di distribuzione. Mi sembra un documento ragionevole e corretto.
A questo punto è davvero questione di vita o di morte. E poco importa la valutazione che ciascuno di noi può avere nei confronti delle diverse fasi di questa vicenda. Adesso è fondamentale che il Parlamento, il Governo, le forze politiche, il Paese intero, escano dal torpore e dalla rassegnazione.
Trovate il modo di raddoppiare il Fondo per la Non Autosufficienza. Riportiamolo a quanto proposto, del resto, dalla Commissione Affari Sociali della Camera, con la stessa maggioranza, ma con altri interpreti. Nessuno protesterà, mi si creda. Anzi, potrebbe essere il segnale di una svolta. In favore della vita. E della dignità delle persone. Tocchiamo il fondo, per risalire.