Il problema dell’assistenza domiciliare dei cosiddetti “gravissimi”, ovvero di coloro che necessitano in maniera assoluta di una forma di assistenza 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, pone, a nostro parere, due problematiche: una sul fronte della giustizia e dell’equità, l’altra su quello economico.
Innanzitutto è indubbio che la Carta Costituzionale assicuri con certezza il diritto alla miglior salute possibile. Tale diritto, per i gravissimi, si esplica, o meglio si dovrebbe esplicare, attraverso l’assistenza domiciliare socio-sanitaria. Che poi questa assistenza possa essere fornita in maniera diretta o indiretta non sposta di molto i termini del problema, se non in materia di costi.
Astrattamente, se la “cosa pubblica” funzionasse “alla scandinava”, l’ideale sarebbe avere un’assistenza diretta: la famiglia, cioè, sarebbe sgravata da ogni problema burocratico e di ricerca del personale e potrebbe concentrarsi sul congiunto gravissimo. E tuttavia, l’“estro latino” che contraddistingue il Bel Paese rende il più delle volte chimerica tale soluzione; difficilmente, infatti, il sistema pubblico rende reperibile personale adeguatamente formato, a costi complessivi – per l’ente pagatore – inferiori ai 20 euro all’ora. Pertanto, dodici ore giornaliere di assistenza domiciliare costerebbero 240 euro, circa 80.000 euro all’anno.
Sono troppi? Sono certamente tanti, ma sono certamente molto meno del costo del ricovero in un reparto ospedaliero ad alta (circa 1.500 euro al giorno) o media (circa 1.000 euro al giorno) specializzazione.
Altre soluzioni, per chi è davvero gravissimo, non sono prospettabili. Non certo l’“internamento” in strutture nelle quali il tempo assistenziale dedicato al singolo ospite è spaventosamente insufficiente e la qualità della vita dell’assistito assolutamente incomparabile con quella “in famiglia”.
Una forma di assistenza indiretta potrebbe abbattere i costi, forse quasi dimezzarli, purché la terribile macchina burocratica non complicasse troppo le cose. Se infatti, una volta stabilita la cifra globale a disposizione, la famiglia potesse scegliere liberamente, usufruendo di un numero maggiore di ore di personale con minor specializzazione (tipo “badante”) regolarmente assunto, oppure di un numero di ore inferiore, ma prestato da Operatori Socio-Sanitari (OSS) o da infermiere, si andrebbe incontro alle reali esigenze delle famiglie. E con tutta una serie di risultati positivi.
Eccone alcuni tra quelli possibili:
– miglior assistenza globale al familiare “gravissimo”;
– minor logoramento del caregiver primario familiare e di tutti gli altri membri della famiglia, con conseguenti minori costi sanitari e assistenziali indiretti;
– possibilità, anche per il caregiver primario, di mantenere un’attività lavorativa almeno a tempo parziale;
– minor ricorso a ricoveri di cura o a ricoveri impropri (di sollievo).
Naturalmente l’assistenza domiciliare indiretta verrebbe prestata solo durante l’effettiva presenza della persona con disabilità gravissima a casa propria.
Sarebbe dunque follia ipotizzare una sorta di “buono”, tipo quello già sperimentato per i lavoratori agricoli avventizi, di 10 euro all’ora (ad esempio 7 euro per il lavoratore e 3 di coperture previdenziali)? L’eccedenza – se necessaria ma improbabile – sarebbe coperta dalla famiglia e il “lavoratore assistenziale” (o meglio “i lavoratori assistenziali” che si turnerebbero) avrebbe uno stipendio netto di 50-55 euro al giorno. Niente male, per questi tempi! Sarebbe una proposta (abbastanza) decente.
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