L’opera del demonio

di Claudio Arrigoni*
Tale può essere considerata una crisi di epilessia in un Paese come l'Etiopia, uno dei più poveri dell'Africa, dove la disabilità spesso equivale a una condanna a morte. «Essere presente in queste situazioni - scrive Claudio Arrigoni - porta a relativizzare i problemi, come è giusto che sia, ma fa anche capire di non cedere sui diritti. Lo si deve a chi è qui da noi, ma anche a chi è là, a morire, a chiedere la carità o a essere cacciato di casa»
Carrozzina per le strade di Addis Abeba, capitale dell'Etiopia
Una carrozzina “creativa” per le strade di Addis Abeba

È l’albergo più antico e caratteristico di Addis Abeba, capitale dell’Etiopia. Per questo meta di molti tour turistici. Gli ospiti sono in terrazza con il tablet, molti camerieri parlano inglese o francese. La scena si svolge qui. Dalla cucina esce una ragazza, portata a braccia da altre quattro. Si dimena. Passano dalla hall, la portano sul retro. Lei continua a dimenarsi. Un ragazzo cerca di tenerla ferma. Alcune inservienti e cuoche si fanno il segno della croce continuamente. Altre prendono una piccola bibbia e dei santini e glieli avvicinano al petto e sul volto. Le spruzzano acqua. Accendono fiammiferi e le fanno annusare lo zolfo che si sprigiona. «Lo sappiamo, è il diavolo, ora lo cacciamo, ci pensiamo noi»: un autista che parla inglese cerca di allontanare una cardiologa italiana di Medici con l’Africa, lì per caso e che voleva intervenire.
Essere presente quando una chiara crisi di epilessia viene trattata con un esorcismo colpisce. Anche se si è preparati, anche se si sono letti reportage e qualche missionario della Consolata, che mi ospitava, lo aveva detto, anche se si conosce la povertà appena scesi dall’aereo che porta ad Addis Abeba.
Negli stessi giorni, in Italia, ecco la notizia che la Diocesi di Milano ha raddoppiato il numero degli esorcisti perché è aumentata la richiesta. E allora pensi: anche qui da noi ci sarà chi pensa che una crisi epilettica sia una possessione demoniaca? Con il massimo rispetto per chi ha fede o crede alla possessione del demonio, chi pratica esorcismi ha giuste e approfondite conoscenze mediche per riconoscere patologie e condizioni di disabilità?
Tornando a quella ragazza con epilessia dell’hotel di Addis Abeba, si potrebbe chiedere alle organizzazioni italiane che si occupano di questa malattia (la FIE – Federazione Italiana Epilessie, l’AICE – Associazione Italiana Contro l’Epilessia, l’AIME – Associazione Italiana Malati di Epilessia, la LICE – Lega Italiana Contro l’Epilessia), di intervenire o di cercare di far intervenire quelle internazionali. Portare aiuto o conoscenza o anche solo solidarietà non deve avere confini.

Ero ad Addis Abeba perché per la prima volta in Etiopia, Paese fra i più poveri d’Africa, due atleti locali partecipavano alla gara podistica più affollata d’Africa, la Great Ethiopian Run, con protesi simili a quelle di Oscar Pistorius.
Un messaggio di speranza – anche noi possiamo correre – in un paese dove la disabilità è spesso una condanna a morte: per le strade, ad esempio, non ci sono paraplegici e chi lo diventa deve sperare di avere una famiglia a sostenerlo. E l’esempio della paraplegia è voluto, dato il forte aumento degli incidenti stradali, dovuti all’aumento del traffico automobilistico o la completa assenza di sicurezza sul lavoro.
Ma alla fine il riferimento è a ogni forma di disabilità. Una pediatra di un’organizzazione non governativa italiana di un ospedale non lontano da Addis Abeba ha fatto capire a una madre che il suo bambino era nato con sindrome di Down. Non lo ha più toccato, lasciandolo morire. La sindrome di Down è universale, non fa differenza per il colore della pelle, eppure girando per l’Africa Subsahariana, non si incontrano persone con tale sindrome. E si potrebbe continuare.

Chiaro che la prima cosa a cui si pensa è il confronto. Ed è sbagliato farlo. Ogni situazione va vista all’interno della realtà dove si trova. La povertà e la situazione sociale giocano un ruolo decisivo: in Etiopia c’è un medico ogni 30.000 persone, un’ostetrica ogni 100.000, bambini e bambine – bellissime – ti corrono dietro per un birr, 4 centesimi di euro, e quasi metà della popolazione vive con un euro al giorno.
Nel maggiore Centro Protesi di Addis Abeba mi spiegano che lo scorso anno sono arrivate 420 persone amputate (solo 12 agli arti superiori) e che nel Paese si calcola con grande approssimazione un numero superiore ai 40.000 amputati. Quelli che arrivano qui riescono ad avere le protesi, gli altri sono in carrozzina, se va bene (magari “creativa”, come quella della foto qui a fianco pubblicata, fatta utilizzando tubi).
Vivere queste situazioni porta a riflettere. A relativizzare i problemi, come è giusto che sia. Ma poi fa capire di non cedere sui diritti e non fare passi indietro sulle conquiste. Lo si deve a chi è qui, ma anche a chi è là, a morire, a chiedere la carità o a essere cacciato di casa. Lo si deve a quella ragazza, che alla prossima crisi avrà intorno persone, anche amiche che sicuramente le vogliono bene, pronte a cospargerla di bibbie e santini facendole annusare zolfo.

Testo già apparso (con il titolo “Là, dove l’epilessia è opera del demonio”) in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al contesto, per gentile concessione.

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