Dopo molti anni di “torpore intellettuale liberistico”, alcuni importanti segnali lasciano sperare nella possibilità di assistere a un risveglio delle coscienze e quindi della società.
Probabilmente la fine delle “vacche grasse” e l’aspettativa diffusa di un periodo non breve di marcate difficoltà economiche hanno portato i Cittadini a riflettere sui valori fondanti sui quali si basa l’esistenza umana. Questo processo intellettivo comporta non un ritorno al passato – desiderato solo dagli irriducibili nostalgici di un mondo dominato da nette contrapposizioni – ma la valorizzazione di un welfare pensato come strumento di inclusione e di partecipazione, un welfare necessariamente costoso e quindi prezioso e da difendere con motivato accanimento. Un welfare pensato come un investimento, sia in termini economici che umani.
E parlando in termini economici, non pensiamo certo a una privatizzazione di larghi settori del medesimo – che comporterebbe fatalmente maggiore protezione per chi può permettersela (e che nei fatti già la possiede) e un desolato abbandono degli altri – ma ad un welfare “motore di attività” che abbia un ritorno di coesione sociale e di vantaggio economico per tutti.
In questa prospettiva pensiamo debba essere inquadrato anche il “lavoro di cura”, ovvero il titanico sforzo dei “caregiver familiari” di supplire alle carenze organizzative e finanziarie della società italiana in campo assistenziale.
È il momento di tradurre in realtà operativa il vecchio assioma dell’“handicap come risorsa” che ci aveva spinto ad organizzare, una quindicina di anni fa, vari convegni sul tema, specialmente in Liguria, Lombardia, Piemonte Sardegna e Veneto.
I frutti di quella stagione di pionierismo ideologico non sono andati perduti e oggi sono idealmente trapiantati nel riconoscimento e nella giusta valorizzazione del caregiver familiare, figura umana così diffusa da non essere quasi avvertibile, ma ad un tempo pilastro imprescindibile della famiglia e della società, nella forma in cui questa si è evoluta in migliaia di anni di civiltà.
Una così elevata idealità e una rivendicazione tanto giusta richiedono un “pensiero alto”, che non sia limitato alle pur necessarie provvidenze normative ed economiche, ma si caratterizzi come un fattore di giustizia sociale e di democratica partecipazione.
Non più, insomma, un caregiver “mulo da soma”, persona votata allo sfinimento e all’isolamento sociale, “bruciata” in un “autoimmolamento sacrificale”, ma una persona ben conscia del valore del proprio lavoro e quindi della difesa del proprio buon diritto.
“Svegliamoci!” verrebbe da gridare e da gridarlo forte. Lo Stato e le sue Istituzioni ci ignorano e ci sfruttano con il ricatto dei sentimenti e dei legami parentali? I partiti politici ci corteggiano e blandiscono solo durante la campagna elettorale? Noi reagiamo con la consapevolezza del buon diritto e non siamo diversi da tedeschi, scandinavi, francesi e spagnoli!
Anche noi pieghiamo la schiena 10-15 e più ore al giorno, per 365 giorni all’anno. Anche noi svolgiamo una attività che nel libero mercato è valuta almeno 10-15 euro l’ora. Anche noi siamo portatori di una sapienza esistenziale e assistenziale guadagnata sul campo. Anche noi consentiamo immensi risparmi alle finanze pubbliche.
E se lo Stato non ci ascolta, noi lo citiamo in giudizio, prima nel giudizio dei Tribunali poi in quello della Storia. Sicuri di vincere.