«Ci sono quattro tipi di persone nel mondo: quelli che si sono presi cura di qualcuno, quelli che lo stanno facendo, quelli che lo faranno e quelli che ne avranno bisogno». Lo diceva Rosalynn Carter, moglie di uno degli ultimi presidenti degli Stati Uniti, che ne ha scritto libri e non solo.
Caregiver familiari: termine inglese per indicare chi assiste o, meglio, si prende cura di una persona, in questo caso un familiare, ma anche un amico o un congiunto, che non è in grado di svolgere gli atti necessari alla vita quotidiana a causa dell’età, di una disabilità, di una malattia (esiste anche una proposta di Carta Europea del familiare che si prende cura di un familiare non autosufficiente, promossa dalla COFACE, la Confederazione delle Organizzazione di Famiglie con Persone Disabili dell’Unione Europea). Gratuitamente. Un lavoro non riconosciuto e che dovrebbe esserlo. Lo ha spiegato bene anche Maria Giovanna Faiella sul «Corriere della Sera Salute», partendo dall’iniziativa del Coordinamento Nazionale Famiglie di Disabili Gravi e Gravissimi, per il riconoscimento giuridico dei caregiver di famiglia.
Fa venire in mente don Milani e quell’I Care, “ho a cuore”. In Italia queste persone sono “invisibili”. Peggio: non ci sono. Eppure esistono. Di più: sono indispensabili. Non solo per la persona loro cara che aiutano, ma per la collettività. Discorso cinico, ma pragmatico: senza di loro, il costo economico delle tante persone che hanno bisogno di qualcuno per funzioni anche solo elementari e minimamente necessarie sarebbe insostenibile dalla collettività.
Basta leggere i numeri segnalati da Loredana Ligabue della Cooperativa Sociale Sofia alla presentazione della prima Giornata dedicata al Caregiver Familiare, nel 2011 a Carpi (Modena): «I caregiver familiari in Italia sono stimati dall’ISTAT in 9 milioni di persone […]. Per il 90% sono donne (contro il 50% dell’Inghilterra): mogli, figlie, nuore… In Italia, il caregiver familiare dedica in media circa sette ore al giorno all’assistenza diretta […] a cui vanno ad aggiungersi undici ore di sorveglianza (attiva o passiva). Il numero complessivo di ore di assistenza prestato dai caregiver familiari è stimata in venti milioni di ore al giorno, corrispondenti a oltre sette miliardi di ore di assistenza all’anno per una media di assistenza di 8-10 anni […]. Questi dati evidenziano in modo macroscopico il valore economico e sociale del caregiving familiare oltre che la sua assoluta insostituibilità».
In realtà solo alcuni Enti Locali stanno facendo qualcosa, mentre le associazioni, dal canto loro, si impegnano a organizzare corsi, perché un altro problema è che quasi sempre si diventa caregiver senza averne competenza specifica (sul sito Caregiver Familiare si trova questo, oltre a informazioni, aiuti, storie).
E ancora: i momenti di difficoltà sono sempre in agguato, la stanchezza o la depressione dietro l’angolo. Su questo, la statunitense National Family Caregivers Association ha preparato una serie di consigli.
Per lo Stato è troppo semplice non accorgersene. Basta far finta di nulla. Chi abbandonerebbe il proprio fratello, la madre o il padre, la sorella? Certo, accade, ma è l’eccezione. Nascono gli “invisibili”, che non sono riconosciuti. Spesso lavorano, anche. Conciliare gli impegni di cura con quelli di lavoro diventa quasi sempre impossibile. Dunque si richiedono ore di permesso o di assenza o riduzioni di orario.
Ancora Loredana Ligabue: «Non stupisce che oltre il 66% dei caregiver familiari abbia dovuto abbandonare il lavoro, che il 10% abbia richiesto un lavoro part-time e il 10% abbia dovuto cambiare mansione, orientandosi verso una attività meno impegnativa».
Non si chiede molto, solo di adeguarsi a quello che accade in altri Paesi europei, come è spiegato nell’articolo di Faiella: in Spagna vi è un riconoscimento economico, come in Gran Bretagna; in Germania vi sono benefit e sono previsti i contributi previdenziali.
Tante volte si sente parlare di Europa a sproposito. In questi mesi di campagna elettorale sarà una delle parole più usate. Chiediamo un impegno ai candidati premier: pensare ai caregiver di famiglia, studiare forme di riconoscimento, chiedere alle associazioni. È una categoria che non può fare rivendicazioni, non entrerà mai in sciopero. Ed è straordinariamente sempre presente nel migliore dei modi possibili.
«Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie. Supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare. E guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale, ed io, avrò cura di te» (Franco Battiato, “La Cura”).