Condanna del Comune e della Parrocchia a un risarcimento di 1.000 euro per la persona ricorrente (oltre alle spese legali) e imposizione di rifare il fondo di quel sagrato a proprie spese: questa la recente decisione del Tribunale di Torino, in nome dell’articolo 3 della Costituzione («principio di parità di trattamento delle persone con disabilità, al fine di garantire loro il pieno godimento dei diritti civili»), dopo l’azione legale promossa dalla signora Rosanna Ferrero di Revigliasco di Moncalieri (Torino), assistita dall’associazione torinese UTIM, per l’impossibilità di accedere alla Chiesa di San Martino, il cui piazzale antistante era stato ristrutturato nel 2004, da parte del Comune, con l’installazione di un acciottolato del tutto inaccessibile alle persone che si muovono in carrozzina e non certo “confortevole” nemmeno per altri Cittadini.
Come ha infatti scritto l’architetto Eugenia Monzeglio, docente del Politecnico di Torino, nella perizia di parte resa all’Associazione UTIM, «alcuni aspetti della pavimentazione [di luoghi pubblici, N.d.R.], come avvallamenti, buche o lastricati sconnessi, elementi di pavimentazione lavorati profondamente in superficie, con altorilievi o bassorilievi (come spesso accade con ciottoli, cubetti di porfido o sampietrini superficialmente irregolari) o giunti di larghezza eccessiva (e spesso anche di profondità), costituiscono non solo ostacoli, ma elementi di pericolo per chi si muove in carrozzina, ma anche per anziani o altre persone, con mobilità compromessa». «Chi procede con la carrozzina – prosegue la perizia -, incontra grandi difficoltà nel controllarla, perché le ruote piroettanti anteriori si possono trovare di fronte al rischio di impuntamento della carrozzina, di incastri e di deviazione improvvise non volute, con rischio di ribaltamento». «Le normative tecniche per l’accessibilità – conclude il documento -, il Decreto Ministeriale 236/89 e il DPR 503/96, hanno regolamentato chiaramente la materia, prescrivendo che tutte le aree e percorsi pedonali, pubblici o aperti al pubblico, non escluse le zone vincolate, debbano presentare superfici antisdrucciolevoli e andamento regolare, con modesti risalti o salti di quota (minori di 2 millimetri) e contenute fessurazioni tra un elemento e l’altro (minori di 5 millimetri). Occorre quindi prevedere , caso per caso, la possibilità di realizzare una sorta di corsie accessibili, anche se di limitata larghezza (100 meglio 150 cm.), scegliendo gli opportuni materiali idonei (ad esempio lastre di pietra “regolari”.) ove sia possibile camminare più agevolmente, in alternativa alle aree con ciottoli o cubetti di porfido [grassetti nostri nelle citazioni, N.d.R.]».
Norme, quelle citate (del 1989 e del 1996), che chiaramente non sono state rispettate a Moncalieri, nei lavori di rifacimento del 2004, durante i quali si è del tutto mancato di realizzare quella «corsia accessibile» di cui parla l’architetto Monzeglio, la quale segnala tra l’altro, sempre nella perizia, anche l’inaccessibilità all’unica sala pubblica di Revigliasco, locale che è sede di associazioni e di incontri pubblici della comunità. Donde la condanna, rispetto alla quale, a quanto sembra, l’Amministrazione Comunale non intenderebbe ricorrere in appello, dichiarandosi anzi disponibile a saldare il dovuto e a rimettere mano alla pavimentazione “incriminata”, come ha dichiarato il 20 dicembre alla stampa locale l’assessore Raffaele Iozzino, pur attribuendo “al passato” le colpe di quanto accaduto. «Interverremo il più presto possibile per ristabilire l’agibilità del piazzale – sono state le sue parole – e pagheremo i danni. Ci duole molto e ci scusiamo per quanto avvenuto non oggi, ma molti anni fa». Tant’è, anche se crediamo che un Ente Pubblico, di fronte al mancato rispetto delle Leggi dello Stato, più che “dolersi” e “scusarsi”, dovrebbe agire concretamente per applicarle…
E in ogni caso, com’è comprensibile, la Sentenza del Tribunale di Torino è stata accolta con grande soddisfazione dalla signora Ferrero, che l’ha giustamente ritenuta «una conquista di tutti». «La prossima volta che si costruirà un’opera pubblica – ha aggiunto – verrà tenuta in debita considerazione la mobilità delle persone su una carrozzina, come d’altronde già imposto dalla legge».
Un auspicio, il suo, che facciamo totalmente nostro, anche se – come correttamente rileva Luciano Chissotti, che ci ha segnalato la vicenda di Revigliasco -, «questo è un palese e concreto esempio di ordinaria trascuratezza, perché il Comune non si è dotato del PEBA e nessuno verifica che un progetto sia adeguato a tutti. E va ricordato anche che per quei lavori del 2004, erano stati stanziati fondi pubblici che “obbligano” all’abbattimento delle barriere».
Ecco, il riferimento di Chissotti ai PEBA ci sembra del tutto opportuno, ricordando che non si sta parlando di un “oscuro acronimo”, ma di quei Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche (PEBA, appunto), che la grande maggioranza degli Enti Locali italiani non ha ancora adottato, a ventisette anni da quando avrebbero dovuto farlo, per obbligo di legge, come abbiamo riferito qualche mese fa, in un nostro ampio servizio (Pretendere che tutti i Comuni italiani adottino i PEBA).
E così quei Cittadini che chiedono di potersi muovere senza ostacoli (e senza pericoli) come tutti gli altri, devono continuare a ricorrere ai giudici, cercando di farsi letteralmente largo “a colpi di sentenze”, ciò che ad oggi, sicuramente, costituisce ancora la strada più percorribile. (Stefano Borgato)
Ringraziamo Luciano Chissotti per la segnalazione.
Per ulteriori approfondimenti sulla Sentenza del Tribunale di Torino: utim@utimdirittihandicap.it.