«Tutte le storie hanno un prezzo […]. Non conta che siano narrazioni poderose, belle e indimenticabili oppure storielle insulse e senza alcuna logica; persino la fiaba di Cappuccetto Rosso alla fine ti presenterà il conto, magari anni dopo, quando in barba a tutta la tua civiltà ti sorprenderai a considerare ovvio e normale che sparino in faccia a Bin Laden per rendere il tuo mondo un posto migliore. C’è qualcosa di oscuramente liberatorio nell’idea che il lupo cattivo morirà per mano del buon cacciatore e poi Cappuccetto tornerà a pranzo con la nonna in un mondo di nuovo ordinato.» (Michela Murgia, Il prezzo delle storie, 1° luglio 2011, pubblicato sul blog dell’autrice).
Potendo, avremmo voluto per il lupo cattivo e per Bin Laden un giusto processo. Ma siamo arrivati tardi, a storia già conclusa. Questo ci fa capire quanto sia fondamentale pensare bene ai contenuti delle narrazioni prima di scrivere la parola fine. Soprattutto quando il racconto è reale e il suo prezzo si misura in termini di civiltà.
Molti invalidi civili al 100% si sono parecchio arrabbiati quando hanno scoperto che la Circolare n. 149/12 della Direzione Centrale delle Prestazioni dell’INPS ha modificato i criteri con i quali le persone riconosciute invalide civili al 100% possono accedere alla pensione di invalidità. Se infatti sino al 2012 il limite reddituale considerato era quello relativo ai redditi personali, dal 2013 verrà preso in considerazione anche quello del coniuge. Tradotto in cifre: per avere la pensione (275,87 euro al mese), la persona invalida civile al 100% e il/la suo/a coniuge non dovranno superare il reddito annuo di 16.127,30 euro. Stiamo parlando di reddito lordo, dunque non interamente disponibile dai contribuenti.
In realtà questa Circolare racconta diverse storie. Una di queste è immediatamente evidente. Altre rimandano a concetti nascosti e, proprio per questo, più insidiosi. E tutte hanno un prezzo.
La prima narrazione è abbastanza esplicita. Molte persone disabili che con i vecchi criteri avrebbero continuato a percepire la pensione di invalidità, ora ne saranno escluse, anche se le loro condizioni non sono migliorate, e con la crisi economica si sono viste ridurre o cancellare i servizi pubblici prima rivolti a questa fascia della popolazione. Il prezzo di questa storia? 275,87 euro in meno al mese per persone che fino ad oggi vivevano sulla soglia di povertà, e ora avranno seri problemi di sopravvivenza.
La seconda storia è sotto traccia. Nel modificare questi criteri, l’Istituto di Previdenza non ha fatto riferimento a nessun atto normativo del Parlamento. In questo racconto basta un atto amministrativo per revocare un diritto ai Cittadini. E se questo è possibile nei riguardi degli invalidi civili totali, è verosimile che, in un prossimo futuro, per analogia, il provvedimento possa essere esteso anche agli invalidi civili parziali, ai ciechi e ai sordi (attualmente non toccati da questa misura). Perché penalizzare solo gli invalidi civili totali, quando è possibile penalizzare tutte le persone con disabilità allo stesso modo? Il prezzo? Trasformare un diritto in un arbitrio di soggetti senza potestà legislativa.
L’ultima trama invece racconta un’idea di ordine sociale. Se la persona invalida al 100 % senza grandi possibilità economiche riesce comunque a costruirsi una famiglia sua, in essa deve stare in condizione di dipendenza economica dal coniuge. Che le famiglie al cui interno è presente una persona disabile debbano far fronte a molte spese che le altre famiglie non hanno, non ha alcuna rilevanza. E non ne ha nemmeno il fatto che il coniuge, nella maggioranza dei casi, sgravi la comunità da rilevanti oneri assistenziali. Non è contemplato che la persona disabile si ritagli spazi di autonomia e autodeterminazione che esulino dalla sua nuova famiglia. E anche qui: quanto tempo passerà prima che il provvedimento venga esteso anche ad altri tipi famiglie (ad esempio, a quella di origine)? La compressione dell’autonomia individuale della persona disabile è il prezzo più salato di una brutta storia che ci sta già presentando il conto. Un conto che dobbiamo cercare in tutti i modi di rispedire al mittente.
Non possiamo permettere che in un futuro che è già qui si revochino i diritti delle persone senza neanche prendersi il disturbo di passare attraverso l’iter parlamentare. Non possiamo accettare che venga considerato ovvio e inevitabile ridurre la persona disabile in una situazione di dipendenza economica da chi le sta accanto. Non è né ovvio né inevitabile: accade quando questa persona viene privata dei pochi strumenti di autodeterminazione sui quali sino a ieri ha potuto contare. Chi propone siffatte misure deve essere chiamato a risponderne.
Sarebbe bello che – in seguito a tutte le rimostranze presentate in questi giorni dall’associazionismo di settore – fosse l’INPS stesso a tornare sui suoi passi, ma c’è poco da illudersi. Sarebbe doveroso che fosse il Governo a intervenire, cambiando il “finale” di questa Circolare prima che sia troppo tardi, prima che inizi a mietere vittime. Anche perché – se è questo che intendevano quando in fase di insediamento parlavano di equità -, per noi Cittadini sarebbe di vitale importanza capirlo prima delle imminenti elezioni.
Se poi tutto questo non dovesse accadere, ci sono sempre i giudici. Loro dovrebbero avere maggiore conoscenza e rispetto della normativa in tema di diritti umani delle persone con disabilità. Anche se, a pensarci bene, lo stesso fatto che persone già in difficoltà siano sempre più spesso costrette a rivolgersi al giudice per ottenere ciò che dovrebbe essere loro garantito con procedure ordinarie, chiare, accessibili e veloci, è anche questa una storia che meriterebbe un altro finale.