Ero lì venerdì sera, l’11 gennaio, invitato da Gianluigi Paragone, originale e sveglio ideatore e conduttore di un talk-show politico del tutto diverso dai consueti contenitori: L’ultima parola, su Raidue, che va in onda – come detto da uno strepitoso Paolo Hendel nei panni di Carcarlo Pravettoni – «o a tarda sera o di prima mattina». Insomma, attorno alla mezzanotte, con buona parte del programma che si svolge nell’ora dei “lupi mannari”.
Venerdì buon risultato con un milione di telespettatori e l’11,5% di share. Niente di paragonabile con il boom di Berlusconi da Santoro, ovviamente. Peccato, perché si tratta forse dell’unico format nel quale il pubblico, non casualmente organizzato, ha la possibilità di dire la sua, con domande veloci e scomode, sui temi dell’attualità economica e sociale, mettendo in difficoltà i politici di turno. Venerdì primo turno in par condicio, quindi regole più strette, e personaggi di primo calibro: Pierferdinando Casini, Giulio Tremonti e Antonio Di Pietro.
Conduce a ritmo serrato Paragone, partendo inevitabilmente dalle riflessioni sul botto di ascolti realizzato da Santoro grazie allo show di Berlusconi. Io sono nelle prime file, microfonato dall’inizio, con la promessa che potrò rivolgere sicuramente una domanda, veloce, a Casini e poi, se ci stiamo con i tempi, anche agli altri due. Comincio a preoccuparmi perché non riesco a immaginare in che modo infilare le questioni che ci stanno a cuore in un contesto così generale, come sempre accade quando la si butta in politica elettorale. Ma resto con i nervi saldi e cerco di far girare rapidamente i neuroni.
Hendel ci mette tutti di buon umore con il suo Pravettoni fan sfegatato di Berlusconi, e lancia «La genda Pravettoni», con tre sole settimane per mese, «tanto alla quarta settimana non ci arriva nessuno»… Applausi convinti, gli unici della serata, perché poi si impone la regola della neutralità, al massimo qualche risatina o mormorio, ma niente battimani. Un po’ surreale per un programma nel quale abitualmente il pubblico composto in larga parte di giovani, è equamente diviso fra destra, centro e sinistra, più un gioco, in realtà, che una vera scansione ideologica.
Ed ecco il momento: Pierferdinando Casini, vera “anima grigia” della salita in campo di Mario Monti, si sottopone al fuoco di fila di domande sparate da Paragone, che passa al pubblico, e poi tocca a me. Parto duro e imbronciato, facendo notare che nell’Agenda Monti non c’è traccia del tema della disabilità, e poi attacco sull’INPS e sulla vicenda del cumulo di reddito fra coniugi che adesso, sorpresa di fine dicembre, fa saltare la pensione di invalidità, che ammonta a “ben 276 euro al mese”. Gli chiedo di intervenire subito, visto che il Governo tecnico – “tecnicamente” – è ancora in carica e può agire. Mi guarda convinto (tra l’altro mi conosce per una giornata importante trascorsa insieme, nel 2003, quando intervenne alla Conferenza Regionale del Veneto sulle Politiche per la Disabilità), e forse è stupito per la mia precisa determinazione. Mi dà ragione, mi ringrazia per una domanda “centrale”, ma svia subito il discorso, e porta la questione sul tema della «solidarietà», dei fondi negati «ai malati di SLA», dei LEA (i Livelli Essenziali di Assistenza): insomma, non ce la fa proprio a ragionare sui diritti, sulle emergenze, sulle questioni che avevo posto. Ma almeno risponde, e per un paio di minuti, in un programma RAI di successo, siamo riusciti a essere “meno invisibili”. Bene.
Arriva Tremonti, sempre a suo agio con quell’eloquio arrotato che ricorda moltissimo la splendida imitazione di Corrado Guzzanti, e si riparte, con una conversazione in punta di fioretto con Paragone in veste di punzecchiatore, con buon ritmo e capacità di affrontare a tono i temi dell’economia, dell’euro, dello spread, dell’IMU, insomma tutti gli argomenti che sono al centro delle preoccupazioni delle famiglie e delle imprese.
C’è spazio anche per me, conquistato al volo con un cenno d’intesa proprio con Gianluigi Paragone. Mi butto sul tema più spinoso, che meriterebbe da solo una puntata: i “falsi invalidi”, campagna ideata proprio da Tremonti. Gli chiedo se non si sia pentito di aver messo nei guai migliaia di famiglie con disabili veri, a causa dei controlli ripetuti da parte dell’INPS, pur sapendo che i “falsi invalidi” – che ovviamente sono invisi a tutti – vengono scovati non dall’INPS ma dalle forze di polizia. Approfitto del suo sguardo leggermente assorto per aggiungere un carico: «Perché non si punta a dare lavoro ad almeno qualche decina di migliaia di persone con disabilità? In questo modo si toglierebbero altrettante pensioni, e questi Cittadini avrebbero reddito e pagherebbero le tasse, come faccio io…». Mi guarda e risponde secco: «Sì, è giusto». Poi passa a elogiare il «5 per mille» (che non c’entra nulla, torniamo sul terreno della solidarietà) proponendo di portarlo al 7 per mille. Non so che cosa replicare. Mi taccio.
Ecco, questo è il racconto del “vostro inviato a rotelle”. Ci ho provato, ringrazio Paragone che ci ha creduto e mi ha dato questa chance di normalità. Ma mi rendo conto che c’è tantissima strada da fare per arrivare ad una comunicazione normale sui diritti e sulle questioni che stanno a cuore alle persone con disabilità e alle loro famiglie. C’è infatti un doppio, quasi invalicabile, problema strutturale. Da un lato nell’agenda della politica, da destra, al centro, a sinistra, questo tema è secondario, e viene vissuto soprattutto in termini di assistenza, di solidarietà, di attenzione doverosa a chi è più sfortunato o debole. Dall’altro anche il mondo del giornalismo politico ed economico non ha quasi alcuna competenza in materia, e non è in grado dunque neppure di abbozzare un decente confronto su questi temi, che infatti escono regolarmente dai talk-show serali o mattutini, salvo riapparire in situazioni specifiche e di nicchia.