Crediamo che in certi momenti la cosa fondamentale sia far circolare le informazioni il più rapidamente possibile, almeno per raggiungere l’obiettivo altamente umano di allentare l’ansia, se non l’angoscia, in migliaia di famiglie che hanno iniziato l’anno con la cupa prospettiva di vedersi togliere da un momento all’altro la pensione di invalidità civile, che ammonta a “ben” 275,87 euro al mese. E partiamo quindi subito dalla notizia: ieri l’Inps ha fatto retromarcia rapida, con il Messaggio n. 717. Fino a prova contraria, dunque, «sia nella liquidazione dell’assegno ordinario mensile di invalidità civile parziale, sia per la pensione di inabilità civile si continuerà a far riferimento al reddito personale dell’invalido».
Tutto bene quel che finisce bene. Ma è davvero finita? Per il momento certamente sì. Ed è stato fondamentale l’apporto di tutti coloro, e sono tanti, che in queste settimane si sono adoperati per portare all’attenzione dell’opinione pubblica e soprattutto del Governo e delle forze politiche, quella che è apparsa subito come una forzatura violenta, attuata a fine d’anno, con una Circolare dell’INPS (dunque non per una decisione del Governo o del Parlamento) che si basava unicamente sull’estensiva applicazione di una Sentenza della Cassazione relativa ad uno specifico caso [si fa riferimento alla Circolare n. 149 dell’INPS del 28 dicembre 2012, N.d.R.].
L’intervento deciso della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità), ossia dei coordinamenti delle associazioni delle persone con disabilità, e il tam tam dei social network, senza contare l’intervento forte del ministro del Welfare Elsa Fornero, sollecitata anche da Nina Daita, responsabile delle politiche per la disabilità della CGIL, hanno dunque raggiunto un risultato soddisfacente, almeno per il momento.
È bene spiegare ancora una volta che cosa si stava architettando. Per la prima volta nella nostra storia, l’INPS stava decidendo di considerare il reddito anche del coniuge, ai fini del conteggio per l’erogazione della pensione, con un tetto di 16.127 euro lordi all’anno per la coppia, e non solo per la persona invalida, come è sempre stato. Una platea non definita di destinatari di questa misura, stimata in 80.000 potenziali “vittime”, all’interno delle quali però è difficile stabilire percentuali esatte. Perché ci possono essere persone invalide al cento per cento che comunque riescono a svolgere un lavoro part-time che li colloca al di sotto di quel limite e che, insieme al reddito del coniuge, riescono a vivere dignitosamente, oppure persone invalide che hanno solo la pensione di 276 euro mensili e l’indennità di accompagnamento, ma si salvano grazie al reddito del marito (o della moglie). Ebbene, proprio a queste famiglie si stava per togliere di colpo un piccolo “tesoretto” di circa 3.000 euro all’anno. Una tassa improvvisa e pesantissima, ben superiore all’IMU, della quale si parla sempre. In molti ci hanno scritto che stavano persino pensando alla separazione legale, o all’idea di rinunciare a sposarsi, per non perdere almeno questo minimo reddito, in tempi che sono grami per tutti.
Non è difficile immedesimarsi in queste situazioni, comprendere l’ansia, l’angoscia, la rabbia che si può accumulare e condensare di fronte a una decisione presa non in modo pubblico e condiviso politicamente, ma all’interno di un ufficio, di un ente pubblico, che dovrebbe eseguire direttive del Parlamento. E qui si inserisce, infatti, il legittimo dubbio formulato dal presidente della FISH Pietro Barbieri: «Temiamo che rientri di sottecchi una tentazione già più volta espressa in questi anni e più volte rigettata dal Parlamento, di fronte alla quale l’unica soluzione non può che essere è un intervento deciso delle Camere che bonifichi l’altalenante prassi amministrativa di questi ultimi anni, sempre più incerta e sempre più vessatoria nei confronti dei Cittadini, e che ponga l’azione dell’INPS sotto un più attento controllo di garanzia».
Già, perché la sensazione è che in realtà anche in questo caso l’INPS abbia avuto un tacito assenso dal Ministero dell’Economia, piuttosto che un doveroso confronto con il Ministero del Welfare, che infatti ha bloccato la misura decisamente iniqua.
Il risultato positivo per ora è quello che conta. Ma la mia paura è che questa sia una tecnica ben precisa, studiata nei dettagli, e basata sul sistematico tentativo di “forzare la mano” nella direzione di un progressivo smantellamento delle attuali sicurezze pensionistiche e previdenziali, allentando mitridaticamente le resistenze di un mondo, quello delle persone con disabilità, sempre più stanco e provato dalla crisi del welfare e dei servizi.
È bello comunque pensare che ieri sera in molte famiglie italiane si sia spenta la luce tirando un sospiro di sollievo. Meglio così.