Appartenente alla famiglia degli herpesvirus, il virus di Epstein-Barr (EBV), responsabile innanzitutto della mononucleosi infettiva (nota anche come “malattia del bacio”), instaura un’infezione latente asintomatica in più del 90% della popolazione umana. E tuttavia – in determinate persone – esso può indurre alcuni tumori, tra cui linfomi e carcinomi. Inoltre, molte evidenze epidemiologiche e cliniche hanno permesso di associare l’infezione da EBV a varie malattie autoimmuni, quali la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide e il LES (lupus eritematoso sistemico).
Alla base di questa variegata evoluzione, si trova la capacità del virus di “eludere” la risposta immunitaria, in modo da persistere indisturbato nell’ospite. Individuare dunque un nuovo bersaglio dell’EBV può aprire la strada alla messa a punto di nuove strategie terapeutiche volte a contrastarne la latenza.
Va in questa direzione uno studio condotto dal gruppo coordinato da Eliana Coccia del Dipartimento Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato dalla rivista «European Journal of Immunology», che ha appunto identificato nelle cellule dendritiche plasmacitoidi (pDC) un nuovo bersaglio della strategia di “immunoevasione” operata dal virus.
La ricerca è stata sostenuta dalla FISM, la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla che lavora a fianco dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla) e dal Ministero della Salute (Ricerca finalizzata 2007, Programma strategico Patogenesi, diagnosi e terapia della sclerosi multipla alla luce di ipotesi emergenti sul ruolo di alterate interazioni tra geni e ambiente nello sviluppo della malattia, coordinato da Francesca Aloisi).
L’approccio utilizzato dai ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità si è sviluppato dall’idea di allargare lo spettro delle cellule suscettibili all’infezione da EBV. Finora, infatti, gli studi si erano concentrati soprattutto sui linfociti B, principale bersaglio dell’infezione, per identificare come il virus modifichi i meccanismi coinvolti nella trasformazione cellulare o nelle alterazioni della risposta immunitaria. Lo studio coordinato da Coccia individua invece nelle pDC un nuovo possibile target dell’infezione.
«Ci siamo chiesti inizialmente – spiega la stessa ricercatrice, coadiuvata nel suo lavoro da Martina Severa – se le pDC, le più importanti produttrici di interferoni, citochine con una potente attività antivirale, fossero suscettibili all’infezione da EBV e come potessero controllare la replicazione virale. Una conclusione a cui è giunta la nostra ricerca consiste nell’avere scoperto un nuovo meccanismo con cui EBV può “raggirare”, a proprio vantaggio, le difese immunitarie. Questi risultati aiuteranno a mettere a punto nuovi approcci terapeutici, in grado di intervenire sui meccanismi di immunoevasione adottati dal virus per instaurare la latenza nell’ospite».
In sostanza, i risultati ottenuti dallo studio hanno dimostrato che EBV può infettare le pDC le quali, attraverso la stimolazione di specifici recettori, rilasciano elevate quantità di interferoni, inibendo in tal modo la replicazione del virus e favorendone la latenza, ovvero la fase in cui esso rimane nascosto dall’attacco del sistema immunitario.
Oltre a questo meccanismo, EBV blocca anche la capacità delle pDC di espandere e attivare la risposta specifica da parte dei linfociti T effettori, attraverso l’induzione di molecole inibitorie sulla superficie della cellula infettata in modo latente. Alterando le proprietà delle pDC, EBV riesce quindi a regolare il suo potenziale replicativo, instaurando in tal modo una “pacifica coesistenza” con l’ospite, mentre in alcuni individui – come detto inizialmente – può contribuire all’insorgenza di malattie autoimmuni e di tumori EBV-associati.
Questi risultati, in conclusione, sono in accordo con recenti evidenze sul forte coinvolgimento di EBV nell’induzione della sclerosi multipla e dell’artrite reumatoide. Infatti, in queste due patologie autoimmuni è stata osservata la presenza di pDC a livello cerebrale o nelle articolazioni, in stretta vicinanza con le cellule B infettate da EBV. Attraverso questo “ménage à trois” tra il virus e le sue cellule bersaglio (linfociti B e pDC), EBV riesce pertanto a persistere nell’ospite e a innescare un lento e progressivo processo infiammatorio. (Barbara Erba)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa AISM (Barbara Erba), barbara erba@gmail.com.
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