Sono la mamma di una ragazza portatrice di una malattia rara, la sclerosi tuberosa, e vorrei suggerire qualcosa per rendere ancora più significativa e di contenuto l’iniziativa di ringraziare chi si offre di inserire temporaneamente alcune persone con disabilità nel mondo lavorativo, attraverso tirocini formativi.
Circa vent’anni fa mia figlia fu assunta da Coop Adriatica, grazie a un inserimento protetto e fu una bella esperienza che purtroppo dovemmo interrompere, dopo una decina d’anni, per un aggravamento della malattia. Oggi lei sta meglio e il suo più grande desiderio è quello di poter tornare a lavorare anche se non è in grado (almeno credo) di avere un’occupazione fissa.Il lavoro, quello vero, quello che ti fa sentire utile e capace, è il più potente mezzo per sentirsi abili, almeno in qualcosa, e per aumentare l’autostima e la fiducia nelle proprie possibilità. L’inattività, o un’attività fittizia creata ad arte per tenersi occupati, favoriscono invece la sensazione di inadeguatezza e fragilità che può solo creare isolamento e depressione, e quindi infelicità.
È in questa situazione che sto vedendo mia figlia e, come lei, tanti altri ragazzi che hanno qualche disabilità… ma non una totale disabilità a vivere. Per loro, ma anche per quei tanti giovani che non potranno entrare nei soliti percorsi lavorativi, causa la crisi economica, indirizzando le loro inclinazioni verso àmbiti più pratici che teorici, credo ci debba essere un’opportunità per scoprire le proprie capacità, mettendole a frutto in un lavoro che abbia le caratteristiche di un vero mestiere, utile alla comunità e magari svolto in autonomia o in forma associativa.
Parlo del mio sogno di veder sorgere un giorno, a Imola [in provincia di Bologna, N.d.R.], un centro artigianale dove tanti ragazzi possano imparare le vecchie arti, anche quelle ormai in via di sparizione, ma ancora richieste. Penso ai lavori di sartoria, maglieria, lavorazione del legno – dall’intarsio al restauro e al manufatto – alle riparazioni di piccoli elettrodomestici, ai lavori di decorazione, di restauro delle ceramiche o di altri oggetti, all’elettronica in alcune sue applicazioni… e molto altro ancora.
Una sorta di laboratorio artigianale dove si facciano rivivere e si insegnino i mestieri. Riesco anche a immaginare che gli insegnanti possano essere tutti quegli artigiani locali che – ormai in pensione – sarebbero grati e felici di poter tramandare il loro talento e la loro esperienza, e lo farebbero a titolo gratuito, solo per non veder morire la loro arte.
Io ho cercato di insegnare a mia figlia le cose che sapevo fare, ma hanno la caratteristica dell’hobby, come l’ uncinetto, i fiori di carta o di stoffa o i piccoli manufatti di cucito… Lei però sa di essere un’adulta e vorrebbe lavorare fuori casa, come fanno gli adulti, anche per sentirsi utile e capace.
Non so se vedrò mai realizzato questo mio sogno, ma credo che, realisticamente, metterlo nell’agenda politica darebbe un senso decisamente diverso e alto anche, ad esempio, alle celebrazioni che si tengono ogni anno per la Giornata Internazionale dedicata alla disabilità.
Mi confronto spesso con altri genitori e con ragazzi affetti da qualche patologia e, per tutti, il bisogno più forte è quello di potersi conquistare margini di autonomia attraverso il riconoscimento delle loro abilità. Si sentono spesso schiacciati dalla prevalente immagine di fragilità e incapacità che la società rimanda loro in molte occasioni. In troppi casi la parola integrazione, usata per le intenzioni, non ha corrispondenza nelle pratiche.
Io voglio pensare a ragazzi di diversi talenti e con diverse caratteristiche che imparino insieme e che lavorino insieme, ognuno per quel che può e per quel che sa, offrendo, sempre insieme, servizi di buon livello e a basso costo a una città che, traendone vantaggio, diventerebbe in tal modo sempre più inclusiva e portata a una reale accoglienza di tutte le diversità. Un bel programma politico o solo un sogno?
Delegata dell’AST (Associazione Sclerosi Tuberosa).
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