Come andiamo ripetendo sin quasi alla noia, già da quattro anni la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è stata ratificata dall’Italia, diventando la Legge 18/09 del nostro Paese, ove all’articolo 2 si scrive tra l’altro che «piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione, a decorrere dalla data della [sua] entrata in vigore».
Ebbene, c’è un articolo della Convenzione stessa (Libertà e movimento di cittadinanza), ove si prescrive che «1. Gli Stati Parti riconoscono alle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri, il diritto alla libertà di movimento, alla libertà di scelta della propria residenza e il diritto alla cittadinanza, anche assicurando che le persone con disabilità: (a) abbiano il diritto di acquisire e cambiare la cittadinanza e non siano private della cittadinanza arbitrariamente o a causa della loro disabilità [grassetto nostro nel testo, N.d.R.]».
È quasi per ironia della sorte che quell’articolo sia il diciottesimo, esattamente come l’anno di età al compimento del quale nel nostro Paese le persone immigrate di seconda generazione possono chiedere la cittadinanza italiana. Ma sembra proprio che per alcune persone con disabilità questo non sia possibile!
Nei giorni scorsi, infatti, è balzata alla cronaca la storia di un diciottenne figlio di immigrati regolari albanesi, residenti in Italia da molti anni. La condizione del giovane, però (sindrome di Down), fa sì che egli non sia considerato idoneo a presentare la richiesta, ai sensi della Legge 91/92 (Nuove norme sulla cittadinanza), ove all’articolo 10 si scrive che «Il decreto di concessione della cittadinanza non ha effetto se la persona a cui si riferisce non presta, entro sei mesi dalla notifica del decreto medesimo, giuramento di essere fedele alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato». Non essendo pertanto ritenute «capaci di intendere e di volere», ovvero di provvedere consapevolmente a quel giuramento, tutte le persone con disabilità intellettiva, ecco le ragioni della mancata idoneità a presentare la richiesta di cittadinanza.
«Riteniamo grave negare il diritto di cittadinanza a una persona straniera con sindrome di Down, per un pregiudizio di incapacità nell’effettuare il giuramento richiesto»: lo ha dichiarato Anna Contardi, coordinatrice nazionale dell’AIPD, l’Associazione Italiana Persone Down, impegnata tra l’altro, proprio in questi giorni in una campagna di sensibilizzazione per il diritto di voto alle persone con disabilità intellettiva, come abbiamo riferito in altra parte del giornale. «Tra le persone con sindrome di Down – ha aggiunto Contardi – c’è una grande variabilità e negli ultimi anni ne abbiamo visto molte andare a lavorare e crescere nell’autonomia. Crediamo dunque che questo episodio cozzi anche con lo spirito di accoglienza verso i giovani stranieri, auspicato di recente dallo stesso presidente della Repubblica Napolitano e tanto più necessario nei confronti di persone in difficoltà: il nostro Paese è noto per le sue scelte inclusive nei confronti di persone con disabilità e non vogliamo tornare indietro».
In realtà, anche se ora se ne sta parlando più di prima, di situazioni del genere se n’erano già presentate in passato. Basti citare un semplice dato, ovvero quello prodotto qualche anno fa dal Ministero dell’Istruzione, con una stima, nelle scuole italiane, di oltre 10.500 alunni immigrati con disabilità intellettiva. E si conoscono anche casi concreti, come quello, analogo, di cui si sta occupando, da oltre un anno e mezzo Gaetano De Luca dell’Ufficio Legale della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), che attende tuttora un pronunciamento definitivo da parte del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Lazio. «Lo scoglio – ha sottolineato lo stesso De Luca – sta proprio nel fatto che il giuramento è un atto personalissimo, un po’ come il matrimonio, e dunque nessuno può pronunciarlo per conto di qualcun altro».
Oppure c’è la situazione seguìta da Andrea Sinno, responsabile del servizio di consulenza gratuita Telefono D dell’AIPD, riguardante il figlio di una donna sudamericana, nato e cresciuto in Italia, che una volta presentatosi alla Questura di Roma per richiedere la cittadinanza, è stato rimandato indietro con le stesse motivazioni. «La prima soluzione che ci era venuta in mente per risolvere il problema – ha spiegato Sinno – è stata quella di richiedere una procedura d’adozione di urgenza da parte del compagno italiano della signora. Il problema è che il ragazzo aveva già raggiunto la maggiore età e questo non è stato possibile. Ora, quindi, vorremmo richiedere l’affidamento a un amministratore di sostegno, una figura sostitutiva a quella del tutore, che agisce per conto della persona con disabilità solo in alcune specifiche situazioni. In tal modo, infatti, verrebbe a cadere la presunzione che sia totalmente incapace di intendere e volere».
«In linea di principio – si legge nel portale “SuperAbile” – chi richiede la cittadinanza, pur in presenza di una disabilità intellettiva, potrebbe comunque venire giudicato dai soggetti coinvolti nell’iter (l’ufficiale giudiziario, il funzionario della prefettura ecc.), come capace di compiere il giuramento con piena consapevolezza: ciò potrebbe accadere in particolare in casi di disabilità non particolarmente marcate. Nella prassi, però, almeno a quanto è dato sapere, in presenza di una qualunque disabilità intellettiva, viene invocata l’incapacità naturale del soggetto, rendendo di fatto impossibile l’acquisizione della cittadinanza. Ma in ogni caso, specificano dal Telefono D dell’AIPD, quand’anche alle persone con disabilità più lieve venisse concesso il giuramento, rimarrebbe il fatto che le persone con disabilità intellettive più gravi, cioè proprio quelle che in via teorica andrebbero maggiormente tutelate, si vedrebbero continuare a negare il diritto all’acquisizione della cittadinanza. Un vero e proprio paradosso».
Cosicché alla fine ripartiamo da dove avevamo incominciato: dalla Convenzione ONU che nel 2009 è diventata Legge del nostro Stato. Proprio su questo, a nostro avviso – e anche ad avviso di De Luca della LEDHA – ci si dovrebbe basare per vedere riconosciuto un diritto fondamentale di fronte a ostacoli che in casi come questi sembrano apparentemente insormontabili, come l’origine straniera da una parte e la disabilità dall’altra. E quell’attesa Sentenza del TAR del Lazio potrebbe realmente segnare un passaggio fondamentale. (Stefano Borgato)