Un’ambiziosa sfida culturale

di Rosaria Uccello*
La giusta risposta o solo “assistenzialismo residuale”? Con tale quesito avevamo presentato nei l’incontro con il Delegato del Sindaco di Roma ai Problemi dell’Handicap, iniziativa voluta per presentare la riforma dell’assistenza domiciliare rivolta a persone con disabilità e anziane, in atto da parte del Comune Capitolino. Ambiziosi gli obiettivi, ancor più culturali che tecnici, e non certo facili da tradurre in concrete pratiche

Assistenza domiciliare nei confronti di un uomo anziano e malatoÈ stato un invito alla creatività, a mettersi in gioco, una sfida per una svolta culturale, quella che ha rivolto Michele Colangelo, delegato del Sindaco di Roma ai Problemi dell’Handicap, ai genitori e agli operatori presenti all’incontro del 22 gennaio scorso, presso la Consulta della Disabilità del Municipio 12, sulla riforma in atto del SAISH (Servizio per l’Autonomia e l’Integrazione Sociale della Persona Handicappata) e del SAISA (Servizio per l’Autonomia e l’Integrazione Sociale della Persona Anziana).
La volontà è quella di arrivare alla fine di un’assistenza standardizzata, bloccata da regole chiuse che, codificando orari e modalità d’intervento, negano all’operatore motivato la possibilità di fare o di essere qualcosa di più.
La riforma presentata da Colangelo vuole essere promozione di vita, «ricerca di qualunque forma aggregata che migliori la qualità della vita del disabile». Un servizio finalizzato, dunque, all’interno del quale la creazione di gruppi d’intervento, che per il Comune sono un mezzo per abbattere le liste d’attesa, per la persona disabile possono diventare integrazione, interrelazione.

In sostanza, chi si offrirà per attuare il servizio dovrà venire incontro al bisogno di autonomia dell’assistito ed essere in grado di offrire quanto da questi richiesto, in termini di attività educative, sportive, ludiche, culturali. Non più, dunque, «ore, ma quote di vita».
Ai Municipi della Capitale spetterà l’importantissimo compito di pretendere tutto ciò, di pungolare, di formare, di seguire passo passo un processo che dovrebbe scuotere un sistema ormai cristallizzato e logoro.
In quest’ottica, la famiglia non dovrà più essere in antitesi con i “professionisti del sociale”, ma diventare motore della definizione del bisogno e della risposta al bisogno stesso, attraverso i piani individuali.
Interrelazione, dunque, condivisione e – nella scelta non più negata, ma assecondata dell’assistenza indiretta – gestore unico e autonomo.

Una riforma, pertanto, culturale, prima ancora che tecnica, destinata a produrre una rivoluzione nell’idea stessa e nell’approccio alla disabilità. Ma spetterà, come detto, ai Servizi Sociali dei Municipi l’arduo compito di tradurre questi assunti, che oggi appaiono ambiziosi, in un’autentica e reale promozione di autonomia e dignità di vita.

Vicepresidente della Consulta della Disabilità del Municipio 12 di Roma.

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