Avete notato come di alcune patologie rare si senta parlare solo in poche occasioni, ad esempio durante la maratona TV di Telethon? Poco invece si racconta della vita di chi porta con sé queste scomode compagne di viaggio. Una vita sempre in salita, ma che grazie alla ricerca medica, sta lentamente alleggerendosi. Alleggerita dalla scienza e appesantita dalla burocrazia inetta e stupida.
Parliamo quindi di Andrea Mei, un sorridente ragazzo di 19 anni, che mi permette una duplice riflessione: da un lato positiva e dall’altro negativa. Andrea è un ragazzo con la distrofia muscolare di Duchenne, una malattia che porta alla degenerazione progressiva dei muscoli scheletrici, lisci e cardiaci e che fino a qualche anno fa causava una morte assai prematura, per complicazioni cardiache e respiratorie.
Ebbene, la nota positiva è che oggi – soprattutto grazie alla ventilazione notturna e a una maggiore conoscenza della malattia – l’aspettativa di vita è molto superiore rispetto al passato. Si può vivere una vita piena e, a tratti, serena. A patto che non ci si scontri con l’aridità delle persone e le “ruote arrugginite” della burocrazia pubblica. E la storia scolastica di Andrea mi fa introdurre la considerazione negativa. «A undici anni – racconta – ho iniziato a non camminare, e sono arrivati i primi problemi. La scuola media era al secondo piano ed era priva di ascensore. Ancora ricordo le discussioni che fece mio padre e il ricorso agli avvocati per ottenere un elevatore che fu attivato solo a tre mesi dalla fine del terzo anno… giusto in tempo per provarlo, nulla di più. L’ho lasciato in eredità a chi mi ha seguito».
Nulla da dire, invece, dell’Istituto Tecnico Commerciale che Andrea ha frequentato e dove ha ottenuto il diploma: «Anche se qualche attimo di terrore l’ho vissuto nel momento in cui mi hanno detto che gli assistenti che mi hanno seguito durante i cinque anni non mi avrebbero accompagnato agli esami: i contratti di assistenza scolastica vanno infatti da settembre a metà giugno. Ergo, chi deve sostenere gli esami deve pagarsi i tutor da sé». Questa è l’Italia della burocrazia.
Ma veniamo a oggi. Andrea coltiva un sogno nel cassetto: fare il giornalista sportivo. Decide così di iscriversi all’università e sceglie il Corso di Laurea in Scienze delle Comunicazioni alla Sapienza di Roma. «Prima di iscrivermi mi sono informato presso il Servizio Disabilità dell’Ateneo, dove mi hanno assicurato che avrei avuto a disposizione dei tutor per aiutarmi a seguire le lezioni, per il trasporto e per l’assistenza personale. A settembre ho iniziato a frequentare i corsi. Tutto bene con i trasporti affidati alla cooperativa Laziodisu, tutto bene con l’assistente “agli appunti”. Ma dell’assistente personale neanche l’ombra».
«Io godo di una discreta autonomia, almeno cerco di dipendere dagli altri il meno possibile – spiega con orgoglio Andrea – ma ho bisogno di qualcuno che mi aiuti ad andare in bagno. E senza una persona che mi assista non ci riesco». Un’assistenza garantita a tutti gli studenti con disabilità per legge, ma di cui nessuno vuole farsi carico: ogni ente, infatti, demanda ad altri la competenza, l’ASL all’Università, l’Università alla Cooperativa e la Cooperativa ancora all’Università.
Intanto, il secondo semestre sta per iniziare e Andrea fatica a frequentare, solo perché nessuno lo aiuta ad andare in bagno. «Se voglio proseguire dovrò pagare qualcuno di tasca mia…». Ma si può spegnere un sogno per una semplice firma su un documento?
Il presente articolo viene qui riproposto, con alcuni riadattamenti al contesto, da InVisibili, blog del «Corriere della Sera», per gentile concessione. Il titolo del pezzo originale è “Il sogno della laurea si ferma… in bagno”.
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