Università: è dura, ma ne vale la pena

di Marta Pellizzi*
«Sfilze di voti - scrive Marta Pellizzi - conquistati con arguzia, sagacia, terribile intelligenza e pazzia. Ore e notti di fatica, fatica vera però. Perché è oggettivo che studiare, preparare un esame o una tesi è dura per tutti, e diviene durissima per chi deve utilizzare altri sensi e convogliare le energie. Ma tutta quella fatica, necessaria per superare una vera e propria “corsa a ostacoli”, verrà ripagata»

Cappello e papiro universitariNel grande mondo delle università non si finisce mai di dire e fare, di rimanere delusi o di essere sorpresi. Si fatica tanto per un diploma e poi, quel miraggio fantastico davanti a noi è l’opportunità di imparare e di conoscere. Studiare per potersi laureare.
Si tratta di una vera chance di vita, finalizzata alla propria crescita prima che ad altro. Il percorso è però arduo e, diciamolo, per chi ha un handicap diventa davvero una “corsa a ostacoli”. Infatti, tra incompetenza e barriere architettoniche, diventa impossibile studiare in santa pace e portare avanti la propria carriera universitaria.

Ho sentito di gente che per fare gli esami è stata costretta a svolgere il compito al bar sotto l’università perché la struttura non era attrezzata ad accogliere uno studente in carrozzina. Ho sentito poi di persone con handicap uditivo che non avendo il personale di supporto, sono state costrette a leggere il labiale dei professori. E ho sentito ancora di studenti trattati con sufficienza dai docenti o dai compagni di corso.
La questione è che se sei fortunato trovi l’ascensore invece di ripidi scalini. Se sei fortunato trovi gente che ti ritiene una persona, prima che un portatore “di”. Se sei fortunato riesci ad avere il supporto che per diritto ti tocca. Se sei ancora più fortunato prendi un 30 perché al docente “fai pena” (la cosa non è male alla fine, dai, magari si potrebbe prendere anche la lode trascinando le mani o i piedi o cadendo dalla sedia a rotelle…). Però, se sei sul serio fortunato, trovi meravigliosi docenti che il 30 te lo danno non perché sei disabile, ma perché hai studiato come tutti gli altri.

Fino a qualche anno fa le statistiche parlavano chiaro: pochi gli studenti che nonostante problematiche fisiche, sensoriali o di relazione, si iscrivevano all’università. Ora, però, i tempi sono cambiati, siamo consapevoli e contenti che ci sia più gente che ha voglia di crearsi un futuro, senza quei quattro soldi offerti dallo Stato. Nella speranza di crearsi un vero e proprio lavoro, senza elemosinare impieghi, alla faccia dei pregiudizi.
Sfilze di voti, conquistati con arguzia, sagacia, terribile intelligenza e pazzia. Ore e notti di fatica, fatica vera però. Perché è oggettivo che studiare, preparare un esame o una tesi è dura per tutti, e diviene durissima per chi deve utilizzare altri sensi e convogliare le energie. Concentrazione, volontà, sono alla base di tutto. E per cosa, vi chiederete?
Perché la fatica verrà ripagata dai sorrisi di chi ti vuole bene, dalla propria soddisfazione e dai complimenti stupiti dei tuoi compagni di corso. Sono convinta, infatti, che studiare sia una meta che tutti ci stiamo conquistando e che tra qualche tempo nessuno si stupirà più di una fantastica abilità.
Tutto è emozione e se non ci fosse la consapevolezza che noi ci siamo, allora tutto sarebbe il nulla.

Il presente testo è già apparso nel blog creato da Marta Pellizzi “True Realities – Vere Realtà (di talento)”, con il titolo “Disabili: nessuno si stupisca se andiamo all’università” e viene qui ripreso – con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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