La Giornata Internazionale della Donna, universalmente nota come Festa della Donna, ricorre l’8 marzo di ogni anno, per ricordare le conquiste sociali, politiche, economiche delle donne, ma anche le discriminazioni e le violenze che esse devono ancora subire in tutti i Paesi del mondo. Simbolo di questa Festa è la mimosa, che comparve per la prima volta in Italia nel 1946.
L’articolo 1 della nostra Costituzione afferma che «tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e in diritti», ma queste, per le donne, sono state solo parole, per diverso tempo.
L’essere donna, in qualsiasi luogo, è difficile, e da sempre è stato così, anche se oggi le Nazioni Unite hanno promosso numerose iniziative per fare aumentare la consapevolezza dei diritti umani. Ma nella realtà di tutti i giorni le cose vanno diversamente, e spesso si dimenticano i diritti delle donne, in quanto esseri umani alla pari degli uomini. Ogni giorno, infatti, si sentono notizie di donne vittime di violazioni dei loro diritti, attraverso violenze fisiche, sessuali e psicologiche.
La Comunità Internazionale, come detto, si è attivata e nel 1979 l’ONU ha emanato la Convenzione sull’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione nei confronti della Donna (CEDAW), con l’obiettivo di far prendere agli Stati misure atte a modificare i modelli socio-culturali, ad eliminare pregiudizi basati sul sesso, a curare l’educazione familiare ponendo attenzione alla maternità.
E quando si tratta di donne con disabilità? Qui la discriminazione è doppia, perché le donne disabili vivono il doppio svantaggio dovuto appunto alle condizioni di disabilità da una parte e a quello derivante dalla loro condizione femminile dall’altra.
Nemmeno le politiche sociali sulle disabilità tengono conto del genere. Esse, infatti, non vengono considerate in relazione alla femminilità e quindi alla maternità e alla genitorialità, cosicché le donne con disabilità hanno più difficoltà a trovare lavoro rispetto agli uomini, sono spesso dissuase dall’avere figli e fanno registrare il più alto tasso di violenze e abusi subiti, soprattutto nel caso di donne con malattie psichiatriche o problemi intellettive.
Oppure le donne hanno spesso a che fare con la disabilità dei loro figli e qui si tratta di madri che lottano ogni giorno per i loro figli, per i loro diritti, contro l’emarginazione di chi pensa che le persone con disabilità debbano stare chiuse in casa. Frequentemente, a causa della situazione dei loro figli, queste madri si chiudono in se stesse, in un lungo silenzio, per paura di non saper che dire, di non riuscire a comunicare nel modo giusto con i figli stessi. Vivono situazioni di imbarazzo con le altre persone, insensibili di fronte alla loro situazione.
La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità dedica uno specifico articolo (il sesto) al problema delle donne, dichiarando che «le donne e le minori con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple», sia nell’ambiente domestico che all’esterno nelle società. Gli Stati, quindi, devono adottare misure per garantir loro «il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali».
È proprio su questo punto – donne con disabilità e madri di figli con disabilità – che l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) esplica il proprio pensiero, affermando che l’essere disabile, l’essere donna, non sono situazioni da “rinchiudere” in una sola e unica giornata, perché la disabilità – così come l’essere donna, madre e figlia – è tutti i giorni, è la quotidianità, non facile, di molte persone.
Volontaria e tirocinante dell’ANFFAS di Modica (Ragusa) (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
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