Fotogrammi, parole, emozioni. Due giorni potenti per chi, come me, cerca i segni di un possibile cambiamento, di una speranza ragionevole, di una cultura che cambia e include, senza pietismi, con intelligenza e sensibilità. Succede tutto in fretta, ma non per questo i segni vanno ridotti a pure sensazioni, perché sono invece il frutto di un lavoro importante, quotidiano, sotterraneo, quasi carsico.
Papa Francesco chiama accanto a sé, sul palco, un giornalista non vedente, che lavora in RAI, in Sala Nervi, perché colpito dalla presenza del suo cane guida, il labrador Asià (con l’accento sulla “a”, vezzo dovuto alla nascita francese…). Laura Boldrini, appena eletta Presidente della Camera, fra le tante applauditissime riflessioni del suo discorso di insediamento, afferma: «Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile».
Già, la ricchezza inesplorata. Non i bisogni, la solidarietà pelosa, la compassione. No: la ricchezza inesplorata. Non sono parole di circostanza, vengono da lontano. Come quella carezza del Papa a un cane guida, davanti a tutti i giornalisti del mondo. E il colloquio, tenendo strette le mani del giornalista cieco, e trasmettendogli empatia e perfino un’informazione tecnica: «Non mi puoi vedere, ma io so che mi puoi sentire». Un Papa venuto “dalla fine del mondo”, un Presidente della Camera noto alle cronache per avere protestato contro le morti senza nome dei migranti nel Mediterraneo, a poche bracciate di mare dall’Italia. Sono colpito da questi segnali di cambiamento, che non possono rimanere isolati o messi in una vetrina di bei ricordi.
Questi segni ci interrogano, e forse impongono il “nuovo” anche nella disabilità. Meno formalismi e più sostanza. Se la politica riesce, faticosamente, a rifondarsi attraverso la trasparenza, scegliendo persone nuove ed espressione della società civile, forse è il momento che anche l’impegno sociale, personale e collettivo, nel mondo delle disabilità, compia un salto di qualità.
Troppe associazioni vivono ancora solo grazie all’impegno e alla presenza di autentici “decani” che hanno fatto mille battaglie, ma che stentano – e spesso non per colpa loro – a trovare un ricambio generazionale. Troppe associazioni vivono in funzione dei contributi pubblici, che consentono la loro sopravvivenza; in questo modo, però, esse devono spesso evitare il contrasto, la denuncia, la battaglia per rivendicare i diritti negati, per migliorare i servizi scadenti, per favorire nuove forme di sussidiarietà, di collaborazione, di volontariato attivo. Troppe volte, in nome della comune appartenenza al mondo delle disabilità, si è rinunciato a combattere battaglie di trasparenza, di legalità, di eliminazione di piccoli privilegi e di disparità evidenti.
Al tempo stesso occorre riflettere sulla centralità delle persone, sui gesti, sugli sguardi, sulle attenzioni autentiche, sulle storie personali e collettive. Non tutto è perduto, non tutto dev’essere rifondato da zero. Abbiamo leggi eccellenti, ma pochi soldi a disposizione. Le famiglie stanno subendo i colpi tremendi di una crisi senza precedenti. La tentazione forte di buttare tutto per aria rischia di costringerci tutti a ricominciare da capo, da zero. E non è giusto.
Il nostro sguardo, la nostra cultura, i nostri desideri, le nostre aspirazioni umane possono trovare oggi un ascolto inaspettato, e non dobbiamo lasciarci sfuggire questa straordinaria occasione di essere protagonisti, in una stagione di cambiamento. Senza rassegnazione, abbandonando anche quel cupo pessimismo che corrode la speranza, e conduce all’immobilità. In una parola: tornando a vivere.