In queste ultime settimane è scoppiata un’altra “bolla mediatica” su un trattamento non riconosciuto dalla medicina ufficiale; questa volta l’attenzione dei media è sull’uso di cellule staminali per la cura di patologie neurodegenerative. Ripetendo, quindi, un rituale già visto (si ricordi ad esempio il celebre “Caso Di Bella”*), numerosi articoli giornalistici e servizi televisivi raccontano in dettaglio alcune situazioni di estrema sofferenza, commentano sulla scientificità del trattamento non “ortodosso” in questione o discutono sulla spregiudicatezza con cui si specula sul dolore altrui.
Purtroppo sappiamo già come andrà a finire: anche questa “bolla” si sgonfierà, i media smetteranno di parlarne e, dopo tanto chiasso, nessuna informazione utile ad orientare le scelte di coloro che soffrono emergerà chiaramente.
Ci sono però alcuni aspetti della questione che vengono spesso trascurati, ma che risultano fondamentali per comprendere perché queste “bolle” continuino a riproporsi.
Innanzitutto, la scarsa fiducia dei Cittadini nella classe medica, che risente sia dei forti interessi in gioco, sia delle contraddizioni interne alla classe medica stessa, che pretende (giustamente) rigorose validazioni scientifiche per ogni trattamento non “ortodosso”, ma al contempo propone trattamenti la cui efficacia non è supportata da evidenze oggettive (si vedano ad esempio le Linee Guida per la riabilitazione dei bambini affetti da paralisi cerebrale infantile, redatte dalla SINPIA – Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza e dalla SIMFER – Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitazione).
Altro elemento fondamentale è l’ostinazione della comunità medico-scientifica nell’affrontare la cronicità con una prospettiva prettamente “farmaco-centrica”, ignorando completamente le persone coinvolte. L’assunto di base è infatti che queste persone – trovandosi in condizioni di estrema difficoltà – non sono in grado di decidere razionalmente. Oltre vent’anni di esperienza diretta con famiglie che si confrontano tutti i giorni con disabilità gravissime ci permettono al contrario di affermare che, nella ricerca del modo migliore per affrontare le difficoltà, le persone sono spesso guidate dal raziocinio.
Se veramente, dunque, si desidera aiutare le persone che soffrono e le loro famiglie, occorre riconoscere che la cronicità può essere affrontata in modo efficace, adottando non solo un estremo rigore scientifico, ma anche una visione che ponga al centro dell’indagine scientifica la globalità della persona, non il trattamento.
Da “casi” come quelli di Di Bella, di Vannoni** e – per restare più vicini alle nostre esperienze dirette – di Doman***, si potrà così acquisire nuova conoscenza, utile a fornire risposte efficaci a coloro che soffrono e che contano sul nostro aiuto.
*Parlando di “Caso Di Bella”, si fa riferimento a quella terapia alternativa per la cura dei tumori, priva di riscontri scientifici circa i suoi fondamenti e la sua efficacia. Ideata dal medico Luigi Di Bella, fu oggetto, tra il 1997 e il 1998, di una grande attenzione da parte degli organi di informazione italiani.
**Il “Caso Vannoni” prende il nome da Davide Vannoni, presidente della discussa ONLUS Stamina Foundation, che sostiene da alcuni anni la ricerca sul trapianto di cellule staminali mesenchimali, per trattare malattie genetiche, con metodi contestati dalla grande maggioranza della comunità scientifica (in particolare rispetto alla SMA – atrofia muscolare spinale, suggeriamo la consultazione dei testi presenti nel sito della UILDM, Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, digitando la parola chiave Stamina Foundation sul motore di ricerca interno).
***Parlando di “Caso Doman”, si guarda all’assai discusso metodo studiato a suo tempo negli Stati Uniti, per favorire il recupero dei bambini cerebrolesi, denominato appunto “Metodo Doman” dal nome del suo fondatore Glenn Doman.