Numerosi studi sullo sviluppo dei bambini autistici hanno messo in luce le loro difficoltà nell’area delle abilità sociali. Infatti, nell’età in cui i bimbi normalmente si interessano alle persone e iniziano a comunicare, quelli autistici hanno difficoltà ad interagire con gli altri e sono caratterizzati da una limitazione di comportamenti non verbali, come l’utilizzo dello sguardo e la mimica facciale. Un ulteriore elemento evidenziato dalla letteratura riguarda poi l’importanza di interventi sempre più precoci e intensivi.
Per tali motivo, un gruppo di ricerca dell’Università di Losanna, del Dipartimento Sanità della Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana e dell’Istituto Scientifico Medea-La Nostra Famiglia di Bosisio Parini (Lecco) ha avviato uno studio finalizzato a valutare due metodi orientati allo sviluppo delle abilità sociali in un campione di quaranta bambini con diagnosi di autismo, di età compresa tra i 2 e i 4 anni.
«La difficoltà di capire e condividere i propri stati emotivi – spiega Emmanuelle Rossini, che è tra i responsabili del progetto – costituisce una caratteristica dei bambini con deficit dello spettro autistico. Gli studi condotti da neuro scienziati come Giacomo Rizzolatti e Vittorio Gallese permettono oggi di supporre che la comprensione del punto di vista degli altri provenga in parte dall’attivazione dei cosiddetti “neuroni specchio”. In breve, quando osserviamo una persona provare una certa emozione, si attivano, nel nostro cervello, gli stessi neuroni che entrano in gioco quando siamo noi a sentire quella medesima emozione. Con ogni probabilità, nei bambini con autismo questo meccanismo si inceppa».
Un’ipotesi recente, poi, associa le difficoltà di imitazione, presenti nei soggetti autistici, a una peculiarità della loro attenzione visiva: nel seguire una conversazione tra due persone, infatti, essi tendono a dirigere la loro attenzione non al volto dei personaggi, ma a elementi della scena molto meno pertinenti per comprendere le loro relazioni.
«Alla luce di questi dati – prosegue Rossini – è possibile quindi ipotizzare che un miglioramento delle competenze dell’attenzione visiva, orientato verso i stimoli pertinenti alla comprensione della situazione sociale, influenzi positivamente il funzionamento del sistema dei neuroni specchio che permette, a sua volta, lo sviluppo delle abilità sociali».
La ricerca – che verrà condotta presso l’Istituto Scientifico Medea – prenderà in esame due gruppi di bambini con diagnosi di disturbo dello spettro autistico: un campione seguirà l’intervento ABA (Applied Behavior Analysis), ovvero l’analisi comportamentale applicata alle diverse abilità necessarie alla vita quotidiana, ormai sistematicamente praticata presso la struttura lombarda, sotto la guida di Laura Villa, in una modalità organizzativa innovativa e compatibile con le regole del Servizio Sanitario Nazionale, nelle fasi precoci dello sviluppo, subito dopo la diagnosi di autismo; l’altro gruppo, invece, verrà trattato con la metodologia SAS (Sviluppo Abilità Sociali), costruita sull’interazione dei bimbi con pupazzi animati dal terapeuta, in presenza dei genitori, che potranno poi proseguire nella quotidianità, introducendo tecniche di incremento della cognizione sociale.
La grande differenza tra i due metodi sta nel fatto che mentre il primo punta sulla modificabilità dei comportamenti sociali, l’altro pone invece l’attenzione sul recupero delle tappe evolutive costitutive della cognizione sociale. In sostanza, la metodologia SAS, nella sua prima fase, utilizza volti immobili che si attaccano e si staccano dalla sagoma di marionette e, associandoli a una mimica facciale fortemente drammatizzata dal terapeuta, incrementa l’attenzione visiva del bambino, incitandolo a guardare l’oggetto del viso (statico del burattino e dinamico del terapeuta).
L’analisi dei cambiamenti di attenzione visiva avverrà all’inizio, alla fine dell’intervento e dopo tre mesi dall’interruzione della procedura, attraverso il metodo dell’Eye Tracking, tecnica dell’“inseguimento dello sguardo” all’interno di un compito di scelta visiva, e mediante l’uso di una WeaCam, che permette di analizzare ciò che il bambino osserva all’interno del suo ambiente naturale. I bimbi, inoltre, saranno valutati attraverso le maggiori scale psicometriche utilizzate nella ricerca e in campo clinico.
«L’obiettivo principale del nostro studio – conclude Rossini – è analizzare lo sviluppo delle abilità sociali in bambini con autismo, soprattutto in termini di cambiamento dell’attenzione visiva. Migliorandone infatti l’attenzione visiva e attivando, di conseguenza, il sistema dei neuroni specchio, si apriranno prospettive interessanti per la messa a punto di interventi mirati allo sviluppo del loro comportamento sociale».
«Questo progetto – sottolinea dal canto suo Massimo Molteni, responsabile dell’Unità Operativa di Psicopatologia dello Sviluppo del Medea – si colloca in continuità con quanto auspicato dall’Accordo Stato-Regioni sull’autismo del 22 novembre 2012, in cui si sollecitavano le istituzioni sanitarie, e in particolare gli IRCCS [Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, N.d.R.] a proseguire nello sviluppo e nella valutazione di modelli e modalità di intervento, specie di quelli precoci, a favore dei bambini affetti da autismo. L’opportunità di collaborare con i colleghi della Confederazione Elvetica è un’occasione importante, anche sul piano culturale, favoriti, una volta tanto, da una vicinanza non solo geografica».
Da ricordare, in conclusione, che lo studio è finanziato dalla Divisione 1 del Fondo Nazionale Svizzero per la ricerca scientifica (FNS-NF), uno dei due fondi concorrenziali di finanziamento della ricerca sul territorio elvetico.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficio.stampa@bp.lnf.it.