Vorrei fare una breve considerazione a proposito di quanto scritto qualche giorno fa, su queste stesse pagine, da Franco Bomprezzi [“Per una nuova pastorale della disabilità”, N.d.R.], che vede nei gesti di Papa Francesco, rivolti alle persone con disabilità, «una deliberata sottolineatura» del tema, lasciando intravvedere «un obiettivo difficile da perseguire senza rischiare di rimanere nel campo della semplice, seppur lodevole, solidarietà e compassione».
Più che un obiettivo in sé, io vedo un ampio quadro, nel quale si inscrivono tanti (spero) obiettivi. Un quadro che discende dallo stesso modo di essere di Jorge Bergoglio, dalla considerazione in cui egli tiene chi ha di fronte a sé.
Abbiamo potuto constatarlo sin dalla sera del 13 marzo scorso, da come si è presentato alle persone che lo attendevano in Piazza San Pietro. Nei giorni seguenti, poi, abbiamo potuto vedere la sua voglia di stare vicino alla gente, una vicinanza che vuol essere anche fisica, perché è prima di tutto intimamente sentita; essa denota la sua disposizione all’intima condivisione delle gioie e dei doloro di tutti. Per questo Papa, la compassione è veramente un soffrire con: soffro con te e desidero alleviare la tua (che ho fatto mia) sofferenza.
Con le semplici parole e i gesti (per lui naturali) di questi primi giorni, dunque, il Papa ha già consegnato al mondo qualcosa di più di un’enciclica, nella quale sia ben presente anche il tema della disabilità; ha sottolineato il tema, mostrando un’evidente attenzione alle persone con disabilità, ciò che appare essere per lui un fatto naturale.
Per avviare una fertile riflessione, mi pare perciò importante partire da qui, cercando di vedere con gli stessi occhi di Jorge Bergoglio un aspetto importante della questione, partendo cioè da quell’accorciamento delle distanze che caratterizza il suo rapporto con l’altro.
Questo può portare a una riflessione su ciò che implica per tutti il primo punto del Preambolo della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che richiama «i princìpi proclamati nello Statuto delle Nazioni Unite che riconoscono la dignità ed il valore connaturati a tutti i membri della famiglia umana ed i diritti uguali e inalienabili come fondamento di libertà, giustizia e pace nel mondo».
Non dobbiamo avere paura di chiederci fino a che punto – già all’interno del nostro mondo – vi sia veramente pari dignità nei rapporti interpersonali: tra genitori e figli, tra gli operatori dei servizi e i cosiddetti “utenti”; fino a che punto i limiti funzionali della persona con disabilità finiscano con l’impedire al suo interlocutore di riconoscerne la connaturata dignità.