Il libro sordo o Sordo?, recentemente dato allo stampe per i tipi di Franco Angeli, è l’ultimo di una serie di interessanti testi scritti da Giuseppe Gitti, fondatore e direttore del CRO di Firenze (Centro di Rieducazione Ortofonica) e della rivista specializzata in fisiopatologia della comunicazione «I CARE».
Si tratta di un’opera molto interessante poiché centrata sull’annoso problema riguardante l’educazione delle persone sorde, circa l’opportunità/necessità per i sordi “nati-sordi-profondi” di comunicare con l’oralismo o con il linguaggio mimico-gestuale, oggi riqualificato come LIS (Lingua Italiana dei Segni). La trattazione – che si avvale di ampie citazioni bibliografiche, sia dei sostenitori della LIS che dei critici di essa, primo tra i quali lo stesso Gitti -, si sviluppa su undici capitoli, sui quali ci soffermiamo via via qui di seguito.
Il primo capitolo, dal titolo Il sordo, chi è costui?, traccia a grandi linee la storia di come i sordi siano stati considerati a partire dall’antichità e in esso si apprendono cose assai interessanti, ignorate dai più. Molto importante, ad esempio, è apprendere che già nello “storico” Congresso di Milano del 1880 fu sancito il principio dell’oralismo, come mezzo comunicativo dei sordi in Italia, orientamento accettato allora anche nelle scuole speciali per sordi, ma che cominciò ad essere contrastato prima e contestato poi, dalle stesse scuole speciali per sordi e dall’ENS – l’allora Ente Nazionale Sordomuti, oggi Ente Nazionale dei Sordi – quando negli ultimi Anni Settanta fu sancito il diritto all’inclusione dei sordi nelle scuole comuni, con l’articolo 10 della Legge 517/77.
Il secondo capitolo, poi, intitolato Acquisizione o apprendimento della lingua, è piuttosto tecnico, ma comprensibile, e illustra la distinzione tra «capire, sentire e udire», mentre il terzo (Protesi acustica o impianto cocleare) mette in luce l’attuale realtà dei cosiddetti “sordi perlinguali”, divenuti cioè tali alla nascita o prima dell’apprendimento naturale della lingua orale, oggi messi in grado di poter sentire e quindi di poter apprendere la lingua parlata.
E ancora, il quarto capitolo (Abilitazione e/o educazione) è anch’esso piuttosto tecnico, ma comprensibile a tutti, e punta l’attenzione sull’apprendimento della parola, tramite la riabilitazione e la lettura labiale, mentre il quinto (Sordità e turbe associate) fissa l’attenzione sulla negazione del fatto che i sordi abbiano – in quanto tali – disturbi specifici di apprendimento.
Una pacata, ma pressante critica all’affermazione della LIS come Lingua Italiana dei Segni arriva quindi nel sesto capitolo (LIS: linguaggio o lingua?), ove si sostiene sostanzialmente che la LIS stessa sia un “linguaggio”, mancante cioè dei requisiti che possano fare parlare scientificamente di una lingua.
Il filo logico impostato da Gitti prosegue poi con il settimo capitolo (Bilinguismo), in cui egli critica la tesi di chi vorrebbe che i sordi dalla nascita imparassero dapprima la LIS e poi la lingua orale, sostenendo invece il contrario, nel caso cioè che un sordo volesse imparare pure la LIS.
Successivamente, dopo l’ottavo capitolo, incentrato sull’Interprete LIS, figura di mediatore limguistico sulla quale si discute, il nono si intitola significativamente I sordi profondi parlano, per affrontare la questione se la LIS faciliti o meno l’apprendimento della lingua, discutendo pure dell’importanza della lettura.
A spiegare poi il titolo stesso dell’intera opera (sordo o Sordo?), arriva l’omonimo decimo capitolo, vibrante confutazione – anche qui espressa con pacatezza, ma con fermezza – della LIS come lingua di una minoranza linguistica. Qui la tesi viene sviluppata con condivisibili argomentazioni giuridico-costituzionali, linguistiche ed antropologiche, argomentazioni che hanno tra l’altro convinto le Commissioni Parlamentari a rigettare una recente Proposta di Legge, tendente a far riconoscere la LIS come lingua della minoranza linguistica della comunità dei sordi italiani.
Infine, l’undicesimo e ultimo capitolo (Sordi o disabili) insiste sul fatto che i sordi – specie in Italia – non possono essere considerati una comunità, come avviene in America, ove addirittura vi sono gruppi portatori di “orgoglio sordo”, che cioè non vogliono sottoporsi a interventi chirurgici per poter acquistare l’udito, essendo appunto orgogliosi del proprio “status”. Anche per questo, nei Paesi anglosassoni, la LIS è considerata la “lingua dei sordi”, mentre in Italia – specie dopo le moderne protesi e l’impianto cocleare – ormai i sordi sono considerati non più “sordo-muti”, ma solo sordi, che possono però imparare a sentire e a parlare e quindi a integrarsi nella società senza nulla perdere e senza la necessità della “protesi umana”, costituita dagli interpreti gestuali.
Si tratta quindi di un libro che senza gli accenti polemici presenti in precedenti pubblicazioni dell’Autore, si raccomanda per la serietà delle argomentazioni adottate e per la molteplicità delle citazioni bibliografiche favorevoli e contrarie alle tesi sostenute. Esso può pertanto risultare assai utile alle famiglie che vogliano educare i propri figli sordi – specie se nati da genitori udenti, che sono per altro la quasi totalità – a un’effettiva inclusione sociale. Esso può risultare poi assai utile anche agli operatori dei servizi, e soprattutto agli insegnanti, per fugare in loro i pregiudizi inveterati circa l’impossibilità dei sordi profondi ad imparare a leggere, scrivere e parlare la lingua di tutti.
Giuseppe Gitti, sordo o Sordo?, Milano, Franco Angeli, 2013, con prefazione di Oskar Schindler, 156 pagine, 20 euro.