Gli stessi diritti, le stesse possibilità, la stessa considerazione. Ci sono momenti in cui sembra si debba rinunciare a chiederli, perché diventa facile dire: beh, ma prima pensiamo a… La disabilità ai tempi della crisi vive queste situazioni. Prima gli altri, è il messaggio, a volte neanche tanto subliminale, che arriva.
Pensiamo al lavoro. Se il lavoro manca per chi ha una famiglia, per chi deve ancora farla, per i giovani, per le donne, per i cinquantenni, per… mica davvero volete che si pensi a trovare spazi per chi ha una disabilità, fisica o intellettiva e/o relazionale? E con gli esempi si potrebbe continuare.
Eh no, non ci stiamo. Ha fatto bene quindi l’ANFFAS a scendere in piazza, in tante piazze e a spiegare che no, a cercare diritti non si rinuncia. Anche ai tempi della crisi.
Per il sesto anno consecutivo, infatti, il 7 aprile scorso è tornata ANFFAS in Piazza – Giornata Nazionale della Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, manifestazione organizzata dall’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale, attraverso le proprie strutture associative, più di duecento in tutta Italia, per distribuire non solo il materiale informativo, ma anche formativo: «La Giornata, infatti – come è stato scritto dall’ANFFAS in sede di presentazione – è stata dedicata alla diffusione del nuovo modello di disabilità basato sui diritti umani, contenuto nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità – che dal 2009 è Legge nel nostro Paese [Legge 18/09, N.d.R.] e che richiede un radicale cambiamento culturale e di approccio, da realizzarsi in attiva sinergia da parte dell’intera collettività».
Proprio ai tempi delle crisi, è ancor più necessario riscoprire e sfruttare le risorse. Le persone con disabilità come risorsa, non un “peso” per la società, come spesso la si pensa. «Cambiare questo stereotipo è come scalare l’Everest in sedia a rotelle. Non ci riusciamo», ha scritto Franco Bomprezzi su queste stesse pagine. Eppure, in particolare ai tempi della crisi, a questo si deve tendere. Sembra paradossale, ma non è così. Proprio in questi momenti, perché rinunciare a una risorsa?
Torniamo al lavoro, citato all’inizio, che poi è punta dell’iceberg del resto. Secondo l’ultima indagine Sulla formazione e l’inserimento lavorativo delle persone con sindrome di Down, del 2009, condotta dal CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), su un campione di 1.297 maggiorenni con sindrome di Down, solo il 13% lavorava con regolare contratto, mentre il 18% era avviato in percorsi di tirocinio formativo (in particolare nel Centro-Nord). Perché non valorizzare le capacità, in particolare in un momento difficile?
A volte occorre cercare anche nuove soluzioni. Le possibilità ci sarebbero, come spiegano all’ANFFAS, «a partire dal coinvolgimento diretto e attivo delle stesse persone con disabilità intellettiva e/o relazionale anche attraverso l’utilizzo di strumenti e materiali ad hoc, come quelli predisposti in versione easy-to-read, ossia in versione facile da leggere e comprendere che consentono alle persone con disabilità intellettiva e non solo di essere maggiormente consapevoli di tutti quelli che sono i propri diritti. Un aspetto di fondamentale importanza per riuscire a ottenere una piena e reale inclusione in ogni contesto della nostra società».
Chi dice cose di questo tipo, chi non vuole rinunciare ai diritti, magari viene visto con sufficienza o, anche, con fastidio: “ci sono problemi più importanti”! In questi mesi di crisi, chi ha sentito parlare di politiche sulla valorizzazione delle persone con disabilità? O anche solo di corretta applicazione di leggi che ci sono? Nessuno li inserisce in un’agenda di Governo, quando e se ci sarà. Ma bastava vedere i programmi elettorali dei vari partiti. Ecco perché è importante non abbassare la guardia!