Le distrofinopatie (Duchenne e Becker)

a cura di Angela Berardinelli*
Una scheda dedicata alle distrofinopatie, malattie muscolari genetiche dovute ad un difetto di distrofina, proteina contenuta nella membrana della fibra muscolare. La più nota e la più grave è la distrofia di Duchenne, mentre una sua variante meno severa è la distrofia di Becker. Tali patologie si manifestano per la quasi totalità sui maschi

Guillaume Duchenne de Boulogne, scopritore nell'Ottocento della distrofia muscolare che da lui prende il nomeCon il termine di distrofinopatie vengono oggi chiamate le malattie muscolari dovute a un difetto di distrofina, proteina contenuta nella membrana della fibra muscolare. Tale proteina, di grandi dimensioni, è legata a molte altre della membrana muscolare e sembra svolgere sia funzioni di stabilizzazione che di organizzazione della membrana stessa.
L’assenza completa di distrofina determina la distrofia muscolare tipo Duchenne; una sua alterazione qualitativa o quantitativa determina varianti più lievi o anche fenotipicamente diverse della malattia (ovvero quadri clinici diversi).
La variante allelica classica è detta invece distrofia muscolare tipo Becker, forma che ricalca, in modo più lieve e con prognosi migliore, l’andamento della Duchenne.
Esistono poi altre forme che spesso vengono incluse – “per abitudine/semplicità” – sotto la definizione di distrofia di Becker, le quali presentano manifestazioni minime: solo crampi-mialgie da sforzo; solo problemi cardiaci e così via.

Distrofia di Duchenne
Si tratta di una malattia degenerativa dei muscoli che esordisce abitualmente tra i 2 e i 4 anni di età, con difficoltà motorie soprattutto nel salire le scale, rialzarsi da terra, correre, saltare. Qualche segno minore può essere individuato anche prima dei due anni e in alcuni casi un aspetto clinico particolarmente rilevante, prima della comparsa delle difficoltà motorie, è il ritardo nell’acquisizione del linguaggio.
La malattia avanza negli anni, determinando un progressivo e generalizzato difetto di forza.
In linea di massima, pur essendo possibile in ogni individuo un diverso andamento clinico, la storia naturale della distrofia di Duchenne determina la perdita della deambulazione autonoma entro i 12 anni di età.
Successivamente il difetto di forza progredisce ulteriormente, coinvolgendo anche la muscolatura cardiaca e respiratoria. Non vengono invece interessati i muscoli oculari estrinseci (quelli che consentono di muovere gli occhi) ed è poco interessata la muscolatura mimica del volto.
Sebbene il coinvolgimento della muscolatura sia generalizzato, alcuni gruppi muscolari sono più interessati di altri e questo può determinare coinvolgimenti asimmetrici e favorire lo sviluppo di retrazioni articolari e scoliosi.

Distrofia di Becker
Come già detto, nella sua forma classica la distrofia di Becker ricalca il tipo di andamento della Duchenne. Rispetto ad essa, tuttavia, l’esordio è più tardivo (intorno agli 8 anni) e la progressione più lenta e meno severa. Raramente viene coinvolta in modo significativo la muscolatura respiratoria, mentre resta rilevante il problema cardiaco.
Altre forme sempre legate ad alterazioni qualitative o quantitative della distrofina determinano invece quadri molto diversi, nei quali il coinvolgimento della muscolatura scheletrica è minimo (o magari solo crampi-dolori muscolari dopo sforzo). In questi casi la funzionalità motoria è sostanzialmente conservata, ma spesso l’interessamento cardiaco è molto importante e finisce con il determinare la prognosi. Talvolta, lo scompenso cardiaco è il sintomo d’esordio, in soggetti adulti che avevano svolto fino a quel momento una vita del tutto normale, praticando anche attività sportive.

Cause e trasmissione delle distrofinopatie
Le distrofinopatie sono malattie genetiche il cui gene è stato identificato da alcuni anni ed è situato sul cromosoma X. Pertanto, a parte rare eccezioni, soltanto i maschi (che hanno un solo cromosoma X) sono colpiti da tali forme, mentre le femmine – e quindi in particolare le madri e le sorelle dei pazienti affetti – abitualmente non hanno sintomi (hanno due cromosomi X e quindi la possibilità di “compensare”) e possono essere portatrici sane della malattia, con la possibilità di trasmetterla ai figli.
Se una femmina portatrice mette al mondo un figlio maschio, vi è una possibilità su due che egli sia malato; se la figlia è una femmina, sarà sana, ma vi è una possibilità su due che sia portatrice.
Solo in rari casi le donne manifestano alcuni sintomi e in ogni caso più lievi: in queste situazioni si usa in genere la definizione di “portatrici manifeste” o, in inglese, manifesting carriers.
Nelle famiglie in cui vi sono dei casi conosciuti di distrofinopatie è attualmente possibile nella grande maggioranza dei casi conoscere con precisione il rischio di ciascun membro della famiglia di trasmettere la malattia ai figli, così come è possibile la diagnosi prenatale dopo la decima settimana di vita intrauterina. Non è possibile invece prevedere i casi dovuti ad una nuova mutazione

Trattamento delle distrofinopatie
Attualmente non esiste alcuna cura efficace, per tali malattie, che permetta di arrivare ad una guarigione.
Nella distrofia di Duchenne si usano steroidi come il cortisone, o suoi derivati, con il risultato di determinare un rallentamento – pur temporaneo – dell’evoluzione della malattia. Attualmente l’impiego degli steroidi è consigliato nella distrofia di Duchenne, sempre naturalmente sotto attento controllo medico e previo accordo e consenso dei genitori. Il cortisone, infatti, può dare teoricamente effetti collaterali. Dagli studi condotti dai diversi centri non emergono tuttavia problemi rilevanti nella grande maggioranza dei soggetti affetti.
L’effetto del cortisone si evidenzia abitualmente entro i primi sei mesi dall’inizio del trattamento e consiste in un miglioramento della funzionalità motoria documentabile attraverso l’obiettivo riscontro della riduzione del tempo di esecuzione di alcune performance motorie standardizzate e soggettivamente attraverso la segnalazione dei genitori – e a volte dei bambini stessi – di una minore affaticabilità.
In ogni caso, è estremamente importante seguire i bambini affetti nel corso del tempo.
La fisioterapia, non necessaria dai primi anni di vita ma utile in seguito, mira soprattutto a valutare attentamente le posture, cercando di contenere lo sviluppo di asimmetrie, retrazioni e scoliosi. La scoliosi evolutiva può richiedere interventi chirurgici di stabilizzazione, che vanno valutati attentamente caso per caso, in relazione alla situazione complessiva e anche alla disponibilità alla collaborazione del bambino e della famiglia.
A seconda dello stadio della malattia e delle particolari necessità di ogni bambino, potranno essere impiegati tutori, volti a consentire una corretta posizione delle articolazioni e, in fase più avanzata, la possibilità di mantenimento della stazione eretta, utile per consentire una migliore espansibilità toracica.

Problemi respiratori e cardiaci
Poiché, come detto, il coinvolgimento della muscolatura cardiaca e di quella respiratoria è un aspetto molto importante nelle distrofinopatie, saranno opportuni attenti controlli clinici e strumentali periodici, per individuare eventuali problemi e intervenire nel modo più adeguato.
Nelle fasi più avanzate della distrofia di Duchenne, potrà essere necessario l’impiego di ventilazione meccanica assistita, attraverso maschera nasale (quindi non invasiva), dapprima durante le ore notturne, poi anche diurne.
Nella forma di Becker classica e più ancora nelle varianti lievi, sarà fondamentale il follow-up cardiologico.
Appare quindi senz’altro necessaria una presa in carico polispecialistica integrata. 

Disturbi dell’apprendimento e Duchenne
Dagli studi finora effettuati, è noto che un terzo circa dei bambini affetti da distrofia di Duchenne può presentare disturbi nell’apprendimento della lettura e della scrittura. Va considerato, a tal proposito, che l’inserimento scolastico è un momento cardine della vita di un bambino e la soddisfazione che il piccolo paziente può trarre dalla scuola è molto importante, dal momento che si tratta di un’area “normale” per bimbi che dal punto di vista motorio si trovano invece spesso in svantaggio rispetto ai coetanei.
Fondamentale è quindi una valutazione adeguata, al fine di trovare il sistema migliore per aiutare i bambini che ne abbiano bisogno.

Attività fisica nella distrofia di Duchenne
Al momento non vi sono studi che consentano di dare inequivocabili indicazioni sull’effetto dell’attività fisica sul muscolo distrofico. Gli studi pubblicati sono stati condotti sul topo mdx, un modello animale che ha tuttavia un andamento un po’ diverso: gravi sintomi nei primi giorni di vita e progressivo recupero. Sembra tuttavia che esercizi aerobici a basso impatto e nel rispetto della sensazione soggettiva di fatica non danneggino il muscolo e anzi possano forse dare un lieve beneficio.
Va invece evitata un’eccessiva attività fisica e soprattutto quelle che determinano una contrazione muscolare eccentrica.
Sicuramente la scelta dell’attività fisica dev’essere rispettosa, nei limiti del possibile, dei desideri ed eventualmente delle paure del bambino.

Stato della ricerca
La causa delle distrofinopatie è stata scoperta alla fine degli anni Ottanta e si sta lavorando alla ricerca di una terapia. Negli ultimi anni sono stati compiuti importanti passi avanti verso la comprensione dei meccanismi che portano alla degenerazione del muscolo, premessa essenziale per una cura mirata.
Molti esperimenti sono stati fatti in ambito di trapianto dei mioblasti – che non ha portato a risultati concreti, ma che pur resta un possibile settore di ricerca – e nella terapia genica. Quest’ultima, in particolare, potrebbe portare ad una cura efficace, una volta superati i molti problemi tecnici ancora irrisolti.
Attualmente si sta valutando la possibilità di utilizzare la terapia con cellule staminali. Al momento non sono in corso studi clinici immediati, ma studi che aiutino a capire meglio le diverse implicazioni di questo tipo di terapie. Ciò vuol dire che è una strada da considerare, ma che non è al momento applicabile, perché sono ancora troppi gli aspetti delle cellule staminali da studiare.
Con altre ricerche, infine, si cerca di comprendere e poi di intervenire sulla patogenesi di queste malattie, ovvero sulla cascata di eventi che conseguono alla mancanza della proteina e determinano la morte delle fibre muscolari.

*Dipartimento di Clinica Neurologica e Psichiatrica dell’Età Evolutiva – IRCCS Istituto Fondazione “Istituto Neurologico C. Mondino” di Pavia.
Testo pubblicato per gentile concessione della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare).

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