C’era una volta il Servizio Civile…

di Franco Bomprezzi*
«C’era una volta e quasi non c’è più - scrive Franco Bomprezzi - perché non si trovano i soldi per finanziare adeguatamente uno dei più importanti laboratori della coesione sociale e della solidarietà». E di fronte alla “crisi di vocazioni” vissuta dal volontariato, sottolinea la necessità, «di ripensare al significato anche economico e produttivo di una realtà così imponente e diffusa nel nostro Paese»
Realizzazione grafica della CNESC sulla crisi del Servizio Civile
Un’immagine realizzata dalla CNESC (Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile), in occasione di una petizione lanciata a suo tempo, in favore del Servizio Civile

C’era una volta il Servizio Civile, autentica palestra di vita per migliaia di giovani, che sceglievano questa strada spesso solo con l’obiettivo di evitare la naja, e poi – catapultati all’improvviso in una dimensione del tutto sconosciuta, quella dell’impegno quotidiano in associazioni di volontariato al servizio delle persone con disabilità, o degli anziani, o degli emarginati – superato lo smarrimento iniziale, scoprivano un senso nuovo alla propria esistenza.
Terminati i dodici mesi del Servizio, molti di loro, infatti, non riuscivano più a staccarsi dal Nuovo Mondo, e diventavano prima volontari, poi, spesso, trovavano nel sociale la premessa di una formazione lavorativa.

C’era una volta, e quasi non c’è più, non solo per la fine del servizio militare obbligatorio, ma anche perché non ci sono soldi, o i soldi non si trovano, per finanziare adeguatamente uno dei più importanti laboratori della coesione sociale e della solidarietà.
Il mondo del volontariato sta vivendo una crisi di “vocazioni” che sembra inarrestabile. I volontari sono sempre più uomini e donne con i capelli grigi, “pensionati attivi”. I giovani, alle prese con il precariato permanente, non trovano né tempo né stimoli sufficienti per avvicinarsi all’esercizio entusiasmante della donazione gratuita del proprio tempo e della propria fatica (in controtendenza c’è solo il volontariato culturale).

Volontariato fa rima sempre più con “auto aiuto”, ossia con il “fai da te”, nelle associazioni e nei progetti sociali. E invece il volontario dovrebbe essere soprattutto altro da sé: ossia un Cittadino che si avvicina, liberamente e gratuitamente, a una causa che non lo coinvolge direttamente (come può essere ad esempio l’esperienza di una disabilità, o di una malattia terminale).
Occorre, in tempi di cambiamento, ripensare al significato anche economico e produttivo di una realtà così imponente e diffusa nel nostro Paese. Senza i volontari coleremmo a picco in pochi mesi. Lo sanno bene gli Assessori ai Servizi Sociali dei Comuni italiani. E dunque anche questo è PIL, anche questo è patrimonio pubblico da valorizzare. Magari ripartendo dal Servizio Civile.

Direttore responsabile di Superando.it.

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