Quando si parla di barriere, si pensa subito a quelle architettoniche: scalini, porte strette, pendenze eccessive, spazi ridotti che creano prevalentemente problemi a chi ha difficoltà motorie. Ma ne esistono altre, oggi altrettanto importanti per l’uso continuo e quotidiano che si fa della tecnologia, e sono quelle dei siti web o di applicazioni, prodotti o contenuti che, in formati vari, vanno a finire nel mare magnum della rete.
Foto prive di descrizione, filmati senza sonoro, documenti di testo scannerizzati come immagini e non più riconoscibili dai programmi vocali usati dai non vedenti o anche semplicemente siti con alberi di navigazione poco chiari, possono rappresentare barriere “virtuali” che impediscono la giusta fruibilità a coloro che si trovano in una situazione, temporanea o permanente, di ridotta capacità sensoriale, motoria o psichica.
Ma come si affronta il problema in Italia? Se è praticamente impossibile disciplinare l’immensa quantità di contenuti o siti che vengono giornalmente prodotti e veicolati su Internet, si prova a regolamentare la produzione di quelli della Pubblica Amministrazione, affinché i Cittadini con disabilità abbiano la possibilità di partecipare, ottenere informazioni e servizi indipendentemente dalla loro disabilità, nel rispetto dell’articolo 3 della Costituzione italiana, applicato alle nuove tecnologie.
Nel 2005 è stata la Legge Stanca ad affrontare il problema [in realtà la Legge 4/04, “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”, più nota come “Legge Stanca”, è del 9 gennaio 2004, mentre dell’anno successivo è il Regolamento Attuativo di essa, 75/05, del 1° marzo 2005, N.d.R.], introducendo l’obbligo di rispettare, nella realizzazione dei siti web delle Pubbliche Amministrazioni, i requisiti tecnici delle WCAG [Web Content Accessibility Guidelines, N.d.R.], le linee guida internazionali sull’accessibilità. Tali requisiti, divenuti ormai obsoleti, sono stati aggiornati qualche settimana fa da un Decreto, attualmente al vaglio della Corte dei Conti, firmato dal Ministro dell’Istruzione, con delega all’Innovazione della Pubblica Amministrazione, Francesco Profumo [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.]. Il Decreto tiene conto delle evoluzioni tecnologiche degli ultimi tempi. Anni fa, infatti, un sito era considerato accessibile se senza grafica, solo testuale e quindi piuttosto sgradevole da vedere. Oggi, invece, è necessario fare i conti – oltre che con l’uso massiccio di smartphone e tablet -, anche con la maggiore diffusione in rete di filmati multimediali (basti pensare a YouTube) e di nuovi linguaggi di programmazione. L’utilizzo, quindi, di una certa tecnologia non è bandito, ma viene consentito, purché applicato secondo criteri di accessibilità. Ad esempio, per i sordi, in caso di filmati, ci deve essere un testo alternativo al sonoro, per i ciechi un’audiodescrizione (anche nel caso di immagini, se importanti).
Ma il vero problema è la messa in pratica dei requisiti. Si parla di un 5% di siti accessibili. L’aggiornamento quotidiano e l’inserimento costante di nuovi contenuti fa sì che uno stesso sito possa avere alcune parti accessibili e altre no. Di qui l’obbligo di pubblicare sul proprio sito gli obiettivi annuali di accessibilità e l’introduzione di un questionario annuale, con punteggio, per valutare la messa in pratica dei requisiti. Inoltre, una nuova figura responsabile dell’accessibilità farà da garante e vi sarà una casella e-mail cui inviare segnalazioni di eventuali inadempienze.
Chi farà da controllore? «Con questo Decreto – spiega Stefania Leone, consigliere direttivo dell’ADV (Associazione Disabili Visivi), con delega per le problematiche legate alle tecnologie, che ha partecipato in rappresentanza della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) alla stesura dell’aggiornamento dei requisiti tecnici di accessibilità – l’Agenzia Digitale viene a svolgere una funzione di monitoraggio e verifica dei siti accessibili, ma anche gli utenti disabili e le stesse Associazioni dovrebbero fare altrettanto, senza esitare a inviare segnalazioni, qualora rilevassero dei problemi».
Infine, le aziende private. La legge non prevede obblighi, ma va da sé che quelle che forniscono servizi al pubblico (banche, telefonia, prenotazioni …) abbiano interesse e convenienza a realizzare siti semplici e fruibili per tutti.
Testo apparso in «la Repubblica.it – Mondo Solidale», con il titolo “Cecità, solo il 5% dei siti senza ‘barriere digitali’. Il manifesto per il web accessibile a tutti” e qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione dell’Autrice e della testata.
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Tecnologie e didattica inclusiva: essere padroni del proprio destino Ruota attorno a una proporzione («La tecnologia sta alla didattica come la tifloinformatica sta alla didattica inclusiva») questa ampia riflessione di Franco Lisi, che scrive tra l'altro: «Ci sarà integrazione…
- Il Disegno di Legge Zan e la disabilità: opinioni a confronto Riceviamo un testo dal sito «Progetto Autismo», a firma di Monica Boccardi e Paolo Cilia, che si riferisce, con toni critici, a un contributo da noi pubblicato, contenente due opinioni…