Finalmente ci siamo. Quasi. Un Governo politico sta per iniziare a guidare il Paese. Non ricordo neppure più quale sia l’ultimo tema affrontato e poi mollato per strada, a proposito di politiche per la disabilità. Il paradosso è che in molti hanno preferito, in questi mesi, l’assoluta mancanza di decisioni politiche, così sono stati evitati, o almeno rinviati, ulteriori danni, oltre a quelli già inferti con i drastici tagli a qualsiasi finanziamento destinato a sostenere gli interventi in favore delle persone con disabilità e delle famiglie. Provo dunque, modestamente e senza alcuna pretesa di esaurire l’agenda del nuovo Parlamento, a elencare alcuni punti che sono in sospeso da tempo immemorabile.
Non so quanto durerà questa legislatura, ma mi sono accorto – qualcuno mi smentisca – che la parola “disabilità” è risuonata assai raramente nel concitato dibattito politico di questi mesi. Una rinfrescatina della memoria dunque non guasta.
Il Fondo per la Non Autosufficienza: vi dice niente? Mi pare che siamo rimasti al palo. Anche perché non sono mai stati definiti i criteri per la ripartizione dei pochi fondi, e per l’implementazione di un finanziamento fondamentale per venire incontro alla situazione drammatica di migliaia di famiglie nelle quali vivono, fra mille sacrifici, persone con disabilità grave e gravissima.
Anche la parola “caregiver” probabilmente dice poco. Eppure c’è una battaglia che si è arenata sulle secche dello scioglimento anticipato del Parlamento, per vedere riconosciuto almeno il ruolo di chi è di fatto l’unico autentico baluardo umano a difesa della dignità e dell’esistenza in vita delle persone con grave disabilità. Si possono discutere i dettagli, ma sarebbe un delitto ricominciare da capo.
La “vita indipendente”? Proverei a fare un test ai nuovi parlamentari, e temo che in pochi sappiano che stiamo parlando di una legge dello Stato [Legge 162/98, N.d.R.], che prevede la promozione di progetti, finanziati in modo adeguato, che consentano alle persone con disabilità di vivere la propria esistenza in modo autonomo, non dovendo ricorrere per forza a forme di residenzialità assistita, ma costruendosi un presente e un futuro dignitoso e libero. Non mi soffermo sui dettagli. È tutto sulla carta, ormai, anche laddove si era riusciti a partire con esperimenti positivi. Non c’è di peggio, lo sappiamo, delle docce scozzesi: come il dover rinunciare alla libertà dopo averla sperimentata.
Se poi dico “LIVEAS”, temo che in molti, fra Camera e Senato, sgraneranno gli occhi e cercheranno di prendere tempo, per consultare almeno Google o Wikipedia. Sono i “Livelli Essenziali di Assistenza Sociale”, fondamentali per definire una volta per tutte quali prestazioni sociali sono vincolanti sul territorio nazionale, e dunque in ogni Regione. Peccato che tuttora non esistano, nonostante siano previsti per legge da anni [Legge 328/00, N.d.R.]. Senza di loro ognuno può fare come crede, e infatti la scelta più diffusa è quella di fare il minimo possibile, se non addirittura un bel nulla.
“Nomenclatore Tariffario”, poi, non è un insulto, ma si tratta dello strumento, fermo da oltre un decennio, che consente di autorizzare gli ausili e le protesi, ossia gli strumenti più idonei, moderni e appropriati per ridurre il deficit delle persone con disabilità. Basti pensare che tuttora mancano in questo elenco le novità tecnologiche digitali degli ultimi anni. Un rapido ripensamento di questo strumento servirebbe, fra l’altro, a ridare ossigeno a un buon numero di aziende che lavorano ormai in stato di asfissia.
“Inclusione scolastica”: già. Ovvero le “nozze con i fichi secchi”. La capacità mostruosa degli ultimi Governi di barare con i numeri, aumentando gli alunni per classe e spalmando le ore di lavoro di insegnanti di sostegno, spesso demotivati, non adeguatamente formati, alle prese con situazioni complesse e senza alcuna reale collaborazione dall’intero mondo della scuola. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che gli alunni con disabilità vivono in condizioni evidenti – molto spesso – di emarginazione e di esclusione, senza alcun progetto reale costruito sulla persona, come una delle più avanzate legislazioni europee in materia – ossia la nostra – prevederebbe. Perché non pensare ad esempio, da subito, a una formazione intensiva degli insegnanti curriculari e non solo degli insegnanti di sostegno?
Il lavoro, poi: ormai è quasi una chimera persino per giovani con disabilità che si laureano a pieni voti. È incredibile il livello di pregiudizio che sta “pregiudicando” la possibilità di inserimenti lavorativi anche laddove la legge, venendo incontro in termini di agevolazioni contributive e fiscali, potrebbe essere uno strumento prezioso per le aziende e un’occasione importante per far uscire molte famiglie dalla assoluta necessità di ricevere interventi assistenziali e pensionistici. Diecimila nuovi lavoratori con disabilità sono altrettante pensioni di invalidità risparmiate dallo Stato: assai più della lotta ai “falsi invalidi”.
Ma soprattutto spero che Governo e Parlamento affrontino questi temi senza l’ossessione del taglio di spesa a tutti i costi. Il risultato disastroso di questo atteggiamento, negli ultimi anni, ha comportato solo macerie sociali e nuova povertà, creando angoscia, se non disperazione, in famiglie dignitose che cercano comunque di cavarsela, o si rivolgono a Comuni, Province e Regioni che spesso si rimpallano la responsabilità di non avere fondi sufficienti per la gestione dei servizi.
C’è solo un modo, serio e corretto, di affrontare i temi della disabilità: rivolgersi a chi ne sa di più. Le competenze esistono e sono consolidate, persino nei Ministeri. Ma soprattutto nelle Associazioni, piccole e grandi, che hanno maturato finalmente una visione globale dei diritti, grazie anche alla lettura attenta della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Niente su di Noi senza di Noi: questo monito, ripetutamente espresso dai rappresentanti più illuminati dell’associazionismo italiano ed europeo, va tenuto presente soprattutto adesso, quando si comincia, in Parlamento e nel Governo, a lavorare sul complesso delle politiche sociali ed economiche. Sarebbe grave, dopo tanto silenzio, scoprire che si ricomincia da capo, come fossimo eternamente all’anno zero.