Non un “viaggio nella società inclusiva”, questa volta, ma un viaggio tout court, per la nostra “famiglia con disabilità”, con relativo soggiorno in Toscana nella Lucchesia, terra di meraviglie architettoniche e di prelibatezze enogastronomiche.
Il viaggio, in realtà, non ha molta storia: tre ore di macchina (quattro, contando anche una sosta tecnica), dalla Riviera Ligure di Ponente e arriviamo a destinazione. Il percorso è tutto in autostrada e il Viano Mercedes “d’ordinanza”, che da un paio di anni ha sostituito il vecchio leggendario Fiat Ulysse, detto anche “Botafumeiro” [come il grande turibolo presente nella Cattedrale di San Giacomo a Santiago de Compostela, N.d.R.], dopo un mitico percorso sino a Santiago di Compostela, accoglie con tranquilla sopportazione i ben undici colli del bagaglio di Silvia, nonché i pochi stracci dei suoi accompagnatori e li sbarca felicemente all’Eurostar, albergo a quattro stelle, proprio fuori delle mura di Lucca.
La sistemazione alberghiera è ottima: naturalmente non potremmo permetterci un quattro stelle (chissà come fa Grillo con il 5 stelle…), ma la scaltra figlia maggiore ha scovato, nei meandri di internet, una vantaggiosissima offerta ed eccoci quindi acquartierati principescamente.
Notevolissima la stanza da bagno per persone con disabilità, interna alla camera di Silvia; è anzi la prima volta che vedo un bagno per disabili definibile come “lussuoso”: pareti rivestite sino al soffitto di marmo verde (le mitiche cave di Carrara sono a due passi, ma non era bianco cotal marmo michelangiolesco?), doccia con piatto a filo del pavimento, sedile ribaltabile e pareti paraspruzzi chiudibili “a libro”, maniglioni ben piazzati, lavello in vetro a giusta altezza, ampio pavimento libero per ogni manovra e porta di separazione con la camera apribile nei due sensi.
In dieci minuti di passeggiata sotto la pioggia – siamo attrezzatissimi, Silvia ha una mantella totale che la ricopre interamente assieme alla carrozzina e le dona, tanto per restare nell’atmosfera medieval-rinascimentale, la sagoma di un cavaliere con relativo cavallo bardato per qualche nobile torneo -, in dieci minuti, dicevamo, siamo ai piedi delle leggendarie mura rosse, esempio leggiadro di architettura militare della metà del Seicento, opera mirabile e beffardamente costosa, giacché dalla sua ultimazione non si è fortunatamente più verificato in loco alcun fatto d’arme.
Dette mura, oltre ad avere scaramanticamente evitato ogni guerra alla città che racchiudono, hanno un altro grandissimo pregio: sono interamente percorribili anche in carrozzina e rappresentano una passeggiata-belvedere di rara bellezza, lunga parecchi chilometri, che permette di ammirare dall’alto ogni angolo di Lucca.
La città è splendida e ricchissima di opere d’arte, chiese gotico-romaniche, torri svettanti, palazzi armoniosi e mirabili botteghe di salumi toscani, prelibati formaggi e vini gagliardi.
Davvero da non perdere è la vista della Piazza dell’Anfiteatro, dalla tipica forma ovale: una copia – termine per altro improprio, che non vorrei suonasse come spregiativo – della Piazza del Palio di Siena. Ma a Lucca la Piazza dell’Anfiteatro è “in piano” e ha una dimensione più contenuta, nonché uno scenario di palazzi più “umani” nelle dimensioni e negli arredi.
Accompagnata la famiglia alla funzione domenicale nella Cattedrale di San Martino (ove, in sacrestia, si può ammirare la celeberrima statua funebre scolpita da Jacopo della Quercia di Ilaria del Carretto, seconda moglie di Paolo Guinigi, signore di Lucca tra il 1400 e il 1430), il vecchio impenitente framassone che scrive fugge sotto la pioggia battente, alla ricerca di una di quella piccole botteghe di delizie eno-cultural-gastronomiche di cui sopra e trovatane una degna, combatte il freddo e l’umidità penetrata nelle ossa con “alcune” fette di pecorino stagionato e impreziosito da erbe magicamente sapide, salame di suino nero e di cinghiale, lubrificando il tutto con alcuni bicchieri di “Urlo di Lupo”, pregevole vino rosso locale, così nomato per via del fatto – storicamente incerto – che un determinato lupo, forse quello poi redento da San Francesco, urlasse di piacere dopo averlo assaggiato.
Malgrado la città – e il selciato della stessa – siano di impianto medievale, la circolazione in carrozzina non è troppo sobbalzante e la chiusura al traffico automobilistico del centro storico (equivalente il pratica a tutta la città murata) reca ai volventi una piacevole sensazione di tranquillità e sicurezza.
Poi, altri borghi limitrofi percorsi da stradine a schiena d’asino, fatte di ciottoli tondeggianti, mi hanno fornito una nuova idea per superare le asperità del suolo, con il solito folle ausilio “fai da te”: una carrozzina-hovercraft [sostanzialmente una carrozzina “a cuscino d’aria”, N.d.R.], leggermente dispendiosa nella realizzazione, ma assai adatta per visitare zone come la Maremma, la Lucchesia minore e la Garfagnana, storicamente celebre, quest’ultima, come “terra di briganti e di drammatiche alluvioni”.
La carrozzina-hovercraft potrebbe ospitare un accompagnatore sulla pedana posteriore (a mo’ di guidatore di slitta polare) ed essere utile parimenti per la traversata della Manica e per il taglio dell’erba nel prato di casa. Brevetto cedesi in cambio di due cartoni di Chianti Frescobaldi.