Tornare a occupare la propria posizione lavorativa dopo un trauma, un incidente che lascia strascichi sul corpo o sulla mente, è per alcuni la realizzazione di un sogno. Quasi quell’evento rappresentasse una cesura tra il passato e il futuro che appare – soprattutto nelle prime fasi della riabilitazione – oscuro e inesistente. Eppure qualcuno riesce a coronare questa aspirazione. Come è accaduto il 28 aprile scorso a Gianluca Toniolo, cinquantaseienne pisano autore nel 2012 del libro autobiografico Una vita in un attimo (Pisa, Pacini): «Dopo tre anni dall’incidente stradale [avvenuto nel giugno del 2010, N.d.R.], sono tornato in sala operatoria – racconta – non per subire un altro intervento, ma per eseguirne uno. Sono un chirurgo coloproctologo ed endoscopista presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Pisa e opero da una sedia a rotelle».
Gianluca, con caparbietà, è riuscito in qualcosa che purtroppo per altri è stato impossibile, tornare cioè al suo lavoro. Troppe volte sottovalutato, il reinserimento lavorativo ha un grande effetto riabilitativo: spinge a tentare nuove vie e nuove soluzioni, fa sentire indipendenti, fa riacquistare quella posizione nella società che spesso si pensa perduta. «Dietro quella scrivania in ambulatorio – dice ancora -, in sala endoscopica o in sala operatoria, come per magia, mi dimentico dei miei problemi. Quando, con il camice bianco, percorro i lunghi corridoi o passo tra i letti dei pazienti, mi dimentico delle mie ruote, anche se ancora ogni tanto – come diceva Jannacci – di nascosto, vorrei vedere l’effetto che fa. Ma forse la risposta me la sono già data: mi sono accorto “stranamente” che questa condizione porta con se un’“aumentata sensibilità” e avvicina il paziente creando una sintonia speciale».
«Il passaggio da paziente a nuovamente medico – confessa il chirurgo – mi è costato tanta fatica: dovevo recuperare l’autostima e la sicurezza indispensabili per essere io nuovamente di aiuto agli altri… Forse ancora più di prima sento vicine la sofferenza e il dolore perché ora fanno parte anche della mia vita e senza inutili protagonismi, cerco di avvicinarmi al malato in punta di piedi (o di ruote…)». Un lungo percorso non certo privo di ostacoli. In primis quelli psicologici: «Risalire dal fondo delle mie paure, dalla consapevolezza di limiti fisici evidenti non è stato facile».
Una bella storia, quindi, in cui i colleghi e l’azienda sanitaria si sono battuti a fianco del medico per fargli recuperare la sua professione, sia abbattendo gli impedimenti burocratici-amministrativi, sia acquistando una sedia particolare che gli consente, all’occorrenza, di operare in posizione eretta.
Un bell’esempio di come la persona con disabilità non sia considerata un “vuoto a perdere”, ma una risorsa da reinserire in organico. Una bella speranza in un momento in cui il lavoro è, sì, una chimera per tutti, ma lo è ancora di più per le persone con disabilità che – secondo un rapporto presentato nel 2012 dall’ANMIL (Associazione Nazionale fra Mutilati e Invalidi del Lavoro) – sono i più penalizzati nell’inserimento lavorativo: gli uomini disabili occupati sono solo il 29%, mentre le donne non superano nemmeno l’11%.
Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Io, chirurgo, torno ad operare in sedia a rotelle”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.
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