C’è Gianni: su e giù per le strade di Ischia e poi l’incidente e ora le maratone con le stampelle. E Costantin, che in Moldavia a due anni è caduto dal dondolo e le fratture non erano di quelle che un gesso può rimettere a posto. Poi Arturo, nato senza l’articolazione e la protesi dovrebbe attaccarla al busto, ma “è fastidiosa”. O Riccardo, che dopo l’incidente si mette a praticare snowboard. E poi altri ancora: intorno a Francesco, quello che ha avuto l’idea. Segno distintivo: non hanno una gamba. Ma giocano a calcio. Con le stampelle. E in aprile hanno giocato ad Annecy, in Francia, la prima gara internazionale della Nazionale Calcio Amputati: Francia-Italia.
Ne avevamo parlato già lo scorso anno in InVisibili, il blog del «Corriere della Sera». Francesco che voleva giocare a calcio, ma quella stampella faceva paura e i regolamenti non la prevedevano. Il Centro Sportivo Italiano (CSI) che li cambia in un amen, mostrando che quando si vuole si può fare. Francesco che gioca con la squadra di Correggio, in Emilia Romagna. La prima breccia nello sport. «I regolamenti sono fatti per gli uomini, non gli uomini per i regolamenti», dice il presidente del CSI, Massimo Achini.
Francesco Messori ha 14 anni ed è nato senza la gamba destra. Disarticolato: nessun appiglio per la protesi tranne il busto. «Meglio le stampelle». Un po’ di sogni: conoscere Messi, per lui più che un giocatore di calcio (avverato: a Milano, prima di una partita con il Milan); giocare a calcio con gli amici di Correggio, dove vive (raggiunto); creare una squadra dove tutti fossero come lui (è il capitano della Nazionale di chi gioca con le stampelle). Fa parte di art4sport, Associazione nata dall’esperienza di Beatrice “Bebe” Vio, la giovane campionessa di scherma, amputata a tutti e quattro gli arti.
Francesco, che gioca con chi ha le gambe, aveva però un obiettivo: «Vorrei fondare una squadra di giocatori con le stampelle». In altre nazioni, ad esempio la Germania, vi sono Campionati, nel mondo una Federazione, la WAF (World Amputee Football), a dicembre dell’anno prossimo ci saranno i Mondiali in Messico. Chi è stato in ospedali di luoghi dove guerra e mine maciullano le persone, curati da strutture come Emergency o Medici Senza Frontiere, sa che così si torna a giocare.
Era il 2011. In famiglia stavano cercando uno sport. «A calcio allora non potevo giocare nei campionati». Francesca, la mamma, pensa all’handbike. «Digito su Google e fra le altre pagine si apre quella di una manifestazione nel Bolognese con disabili e normodotati. Giocano anche a calcetto». Quella manifestazione era Happy Hand – Giochi senza barriere, nata dalla fantasia di un giornalista sportivo (provenienza baskettara), Lorenzo Sani, insieme a un gruppo di amici, con in testa “Willy the King”, William Boselli, uno di quelli che la società dell’utilitarismo spazzerebbe via e invece è motore di cose belle.
Lorenzo, che ha scritto mille storie, si accorge di quanto impatto possa avere quella di Francesco. Sono loro i primi ad aprire le porte a lui e alla sua voglia di calcio.
Ma non gli bastava. «Bello giocare con normodotati. Ma volevo farlo con chi è nella mia condizione». Ha creato quindi un gruppo su Facebook e la rete è “benedetta”. Arrivano i giocatori, si fa la squadra, ci si allena una volta al mese. Con il CSI, quasi un milione di iscritti, che aiuta.
«Non abbiamo mai avuto una Nazionale – dice Massimo Achini – , la nostra è questa. E vorremmo una persona con disabilità in ogni società sportiva». Contando perciò che sono circa tredicimila, cambierebbe lo sport in Italia.
E ora, in Francia, c’è stata la prima gara internazionale, ove quel che contava era esserci, al di là del risultato [5-2 per la Francia, N.d.R.]. Ed è arrivato anche il messaggio di Papa Francesco: «L’impegno sportivo aiuti a superare difficoltà che appaiono insormontabili».
Francesco Messori ha mostrato un cambio culturale. Era arrivato a poter giocare con i ragazzi normodotati. In piccolo, Oscar Pistorius o Natalie Du Toit alle Olimpiadi. Ma ha detto: mi diverto di più con chi è nella mia condizione. Ecco la società inclusiva, anche nello sport: quella che permette di scegliere. Alan Cardoso Oliveira, il giovane sprinter amputato alle gambe che ha battuto Pistorius a Londra e sarà il simbolo della Paralimpiade di Rio nel 2016, ha detto: «L’Olimpiade? Non è il mio obiettivo. Magari correrò anche lì, ma penso alla Paralimpiade».
Pistorius ha aperto via: si può fare. Francesco lo ha fatto nel calcio. Queste parole fanno nascere una domanda: era così importante? Ma, senza che si rompessero le barriere, avremmo ascoltato questi discorsi? Francesco, Alan, i ragazzi con le stampelle che sono in Francia ci mostrano questo: abbattere le differenze è non vivere sulle differenze.