Giornate straordinarie per lo sport. Fine dei campionati, scudetti, feste. I nomi mostrano fantasia: Dragons, Sharks, Black Lions, Red Cobra. Dietro ai “dragoni”, agli “squali”, ai “leoni neri” e ai “cobra rossi” ci sono loro, quelli che stanno su una carrozzina elettrica. Distrofia, atrofia, osteogenesi imperfetta: cose così. Giocano a wheelchair hockey, sport meraviglioso, da amare appena lo si conosce, e il 18 maggio assegneranno il titolo nazionale a Lignano Sabbiadoro (Udine).
Cosa che potrebbe accadere anche qualche centinaio di chilometri a ovest. Seveso, Brianza, e siamo sempre fra le carrozzine. Questa volta quelle per il basket, lo sport paralimpico di squadra più seguito. Ci sarà anche la RAI a raccontare la gara 2 di finale , partita forse decisiva fra Santa Lucia Roma, scudetto sulle maglie, e Unipol Briantea84 Cantù, che se vince le succede nell’albo d’oro.
Intanto a Torino si è già festeggiato e giustamente si festeggerà ancora: il calcio chiude e la Juventus ha stravinto il titolo. Cosa ci sarà di diverso a Lignano, fra carrozzine elettriche, mazze, palline o a Seveso, insieme a quei mille che affolleranno il palazzetto per riportare il titolo del basket in carrozzina in Brianza dopo oltre venti anni? L’interesse, certo. O i soldi, chiaro. Ma poi? Le emozioni, lo spettacolo, il divertimento, la passione? Ecco quello è proprio uguale o forse no.
C’è chi dice nulla di diverso. C’è anche chi pensa che lo sport paralimpico sia più divertente e appassionante (mi schiero: sono fra questi): ci sono valori più profondi. Una corrente di pensiero, questa, che parte dall’Inghilterra (la baronessa Tanni Grey-Thompson, oggi lavora per la BBC, un tempo fra le grandissime dell’atletica in carrozzina) e fa proseliti fra chi conosce o assiste a gare paralimpiche.
Ma torniamo a Seveso, passando per Roma e Cantù. Briantea84 Cantù e Santa Lucia Roma sono fra le squadre che in Italia hanno fatto la storia del basket in carrozzina. Hanno squadre giovanili. In società si fanno molti altri sport. Ci sono giocatori che vengono da ogni parte del mondo.
A Cantù in quintetto partono spesso un italiano, uno svedese, uno statunitense, un inglese e un tedesco con un coach francese. Chi è in carrozzina perché affetto da spina bifida, chi perché paraplegico o amputato. Alfredo Marson, presidente di Briantea84, è uno dei dirigenti più bravi dello sport italiano, ma non chiedetegli se cambierebbe i suoi ragazzi con quelli di Agnelli e Conte.
Sulla panchina di Roma c’è Carlo Di Giusto, un tipo che sta al basket in carrozzina come Dino Meneghin sta al basket in piedi: una leggenda. Molti sono professionisti. La disabilità che scompare. Non è un modo da dire. Andare a Seveso sabato sera o vedere la gara su RAI Sport per rendersene conto.
Il fine settimana del wheelchair hockey, invece, si è aperto con la vittoria della Coco Loco Padova che ha battuto i Thunder Roma nella Supercoppa Italiana [se ne legga anche in altra parte del nostro giornale, N.d.R.], e si chiuderà con la finale per il titolo nel pomeriggio di sabato 18 (diretta streaming alle 17 nel sito della FIWH – Federazione Italiana Wheelchair Hockey).
In Italia ci sono 32 squadre, più di 350 giocatori e 200 volontari legati alle squadre. Otto formazioni si giocano la finale e il titolo. Ci sono atleti con patologie neuromuscolari. La distrofia è degenerativa. Ogni anno viene a mancare qualche giocatore. Antonio Spinelli da anni è il presidente dalla Federazione: «In alcune stagioni – racconta – perdevamo anche tre o quattro atleti». Ha scritto nel sito della FIWH una bellissima lettera per le finali, Il tempo di stare insieme. Leggetela e non chiedetegli se preferirebbe essere al posto di Abete in Federcalcio. Il wheelchair hockey è una famiglia. C’è chi usa la mazza e chi ha perso la forza per tenerla in mano: ha un attrezzo a croce fissato sulla parte anteriore della carrozzina e colpisce la pallina con quello. Qualcuno muove solo qualche dito e lo usa per dirigere la carrozzina.