La storia di Martin Hofbauer, amputato a un piede e al quale la Federazione Mondiale del Calcio (FIFA) ha dato la possibilità di partecipare a tornei con una protesi, apre scenari e riflessioni su molti aspetti. Certo, prima di lui c’è stato Oscar Pistorius e la sua partecipazione all’Olimpiade di Londra 2012, grazie a un’autorizzazione giunta dopo la decisione del massimo organismo di giustizia sportiva. Conta sicuramente anche questo nella decisione della FIFA. Ma non solo.
Martin ha mostrato con lo sport quello che nel mondo accade: la tecnologia che cambia il corpo permette che questo non cambi. Sembra un paradosso, ma non lo è. In questo caso, il calcio ha mostrato di non averne, ma le protesi da una parte, un corpo che cambia dall’altra fanno ancora paura?
Non solo le protesi: tutto ciò che fa mutare quello che è il corpo nella sua consueta, apparente normalità. Abbiamo scritto spesso di questo argomento, non solo parlando di sport. E penso ancora a Pistorius, che ha messo in bella mostra di non avere la parte fondamentale per chi vuole correre, riuscendo addirittura a farlo – e vincendo anche – nelle massime competizioni mondiali. Eppure lo si è contrastato tanto da dover accettare il pronunciamento di un tribunale per permettergli di correre. Cosa che ha cambiato la vita e il destino di centinaia di migliaia di persone con amputazioni e disabilità. Non sto parlando solo di sport. Lo sport ha solo mostrato la strada.
Oggi Martin sta facendo quello che ha fatto Oscar. Con una differenza. La sua gamba che manca fa meno paura: non si vede. È coperta da scarpette, calze, tuta. Tanto che spesso ha giocato senza dirlo e nessuno se n’è accorto.
Ora certamente ci sarà chi dirà: ma la protesi potrebbe fare male se colpisce una gamba. Occorrono delle norme, è vero. Ma questo è un passo che già si sta facendo e non è quello fondamentale. Tutto va sempre migliorato. La breccia però si è aperta.
La questione delle regole è un’altra di quelle fondamentali. Si possono e si devono cambiare? La FIFA ha mostrato che lo si deve fare per essere aperti alle persone e alle loro situazioni, nel rispetto della competizione. Martin ha avuto un “apripista” in Italia, il giovane Francesco Messori, che noi stessi abbiamo seguito dall’inizio. Lui che è senza una gamba e disarticolato. Ci volle il CSI (Centro Sportivo Italiano), l’ente di promozione sportiva più importante del nostro Paese, per modificare il regolamento e autorizzarlo a scendere in campo nei tornei. «Le regole devono andare incontro alle persone, non dobbiamo esserne schiavi», dichiarò Massimo Achini, presidente del CSI. Poi Francesco, che si diverte di più a giocare con chi è nella sua condizione, è riuscito a trovare altri atleti con le stampelle innamorati del calcio. Ma le regole che cambiano sono capite da tutti?
Raccontava Alex Zanardi in un incontro alla Scuola Dehon di Monza, qualche settimana fa: «Quando ho cominciato di nuovo a correre in auto, ho ricevuto tante pacche sulle spalle. “Sei un grande”, mi incitavano gli avversari. Quando poi ho preso a vincere, qualcuno di loro, gli stessi delle pacche sulle spalle, si è lamentato: “Bisogna mettergli qualche chilo sull’auto, lui pesa meno!”».
Altra riflessione: l’amputazione è una “cosa positiva”. È difficile da dire, chiaro, ma va verso il miglioramento della vita delle persone. Provate a pensare: salva la vita di chi ha una malattia oppure permette che questa sia migliore a chi nasce con gambe o braccia non formate nella maniera giusta. Le protesi sono e saranno sempre più sofisticate. Occorre rifletterne e lo faremo ancora. Ma davvero c’è chi ha paura di questo corpo che cambia?