Molti anni fa, all’inizio della corsa allo spazio, i Russi lanciarono un satellite chiamato Sputnik, ovvero, tradotto letteralmente in italiano “compagno di viaggio”. Nostra “compagna di viaggio” nello spazio (il mondo intero) abitato dalle famiglie con disabilità è questa volta la famiglia Ludi, una famiglia “eroicamente normale”. Insieme ad Alessandro Ludi, padre e amministratore di sostegno di Lorenzo, oltreché presidente della Fondazione Ha.Rea ONLUS, seguiamo il percorso di vita che ha portato il figlio all’università.
Caro Sandro, credo che la tua famiglia sia in procinto di celebrare simbolicamente le “nozze d’argento” con la disabilità gravissima. Come avete fatto in tutti questi anni non solo a “restar vivi”, ma anche a continuare a lavorare sia tu che tua moglie Rosanna, ad assistere, riabilitare e far progredire Lorenzo, nonché ad accompagnarlo – simbolicamente e concretamente – sino all’università?
«La storia della nostra famiglia si modifica radicalmente più di ventiquattro anni fa, con la nascita di Lorenzo, affetto da gravissima disabilità. Da quel momento la nostra vita cambia e, per il nostro modo di vedere e di vivere, nonostante tutto, cambia in meglio.
In meglio… sembra difficile credere a una simile affermazione, ma chi vive quotidianamente la disabilità sa che le nostre famiglie, molto spesso , diventano “famiglie speciali”. Il punto di partenza, però, è fondamentale: bisogna accettare il nuovo arrivato da subito, senza esitazione alcuna, e lavorare assieme per garantirgli la miglior qualità della vita possibile. Dovevamo insomma fare squadra su di lui e questo ci ha permesso di vivere e di percorrere un cammino che – visto a posteriori – ha dell’incredibile. Superate infatti le prime difficoltà dovute alla scarsa conoscenza del problema e a questioni organizzative, abbiamo iniziato a muoverci nella direzione che tuttora stiamo seguendo.
Per contrastare la disabilità di Lorenzo, esiste un solo modo che noi abbiamo accettato subito: la riabilitazione intensiva, continua. Un primo approccio alla riabilitazione con un percorso intensivo condiviso da molte altre famiglie ci ha portato – passando dal Centro ASTRI (Associazione Studio Terapie Riabilitative Italiana) della dottoressa Cecilia Morosini – sino a Philadelphia agli Istituti per il raggiungimento del Potenziale Umano di Glenn Doman.
Ecco, direi che questi passaggi – uniti all’ultimo percorso riabilitativo che abbiamo condiviso con Lorenzo (il Centro Studi Delacato del dottor Antonio Parisi), hanno permesso a mio figlio un percorso di vita condiviso con la disabilità, ma indirizzato a un miglioramento continuo della sua situazione. E quando dico “percorso condiviso”, intendo proprio un percorso che dev’essere fatto assieme: la terapia non è fatta a Lorenzo, ma deve diventare il percorso quotidiano della famiglia di Lorenzo, il modo di vivere e di affrontare la disabilità e i problemi ad essa collegati, siano sanitari o sociali.
Nel corso degli anni, poi, abbiamo affrontato molti problemi, abbiamo “creato” iniziative per aumentare la qualità della vita di Lorenzo e ci siamo inventati una Fondazione che potesse infine sostituirci, per continuare questo percorso condiviso con Lorenzo».
Credo che l’idea di organizzare o riorganizzare tutto il team assistenziale e riabilitativo che gravita attorno a Lorenzo sotto il patrocinio di una Fondazione sia stata una iniziativa molto interessante. Vuoi parlarcene?
«Come sempre le persone con disabilità grave e gravissima e le loro famiglie conducono battaglie a livello nazionale e, quando pensano di essere riuscite a garantire incrementi alla qualità della vita dei loro congiunti o per loro stesse, si ritrovano la mancata applicazione regionale che rimette tutto in discussione. La nostra volontà di permettere comunque a Lorenzo un percorso di vita altamente qualitativo prevale sulla carenza di finanziamenti e sulla mancata applicazioni delle leggi.
Abbiamo pensato quindi a una Fondazione che utilizzasse le proprie risorse per progetti innovativi legati alla disabilità grave. Portare a camminare – seppure aiutata da un deambulatore -, una persona con tetraparesi spastica non è contemplato da alcuna normativa e nessuna Istituzione se ne assume l’onere. Di conseguenza interviene la Fondazione Ha.Rea ONLUS.
Credo che nel momento in cui uno Stato abbandona il welfare, questo Stato abbassa la sua soglia di civiltà. Ed è nelle singole azioni dei cittadini che si può trovare la strada per riportarlo sulla retta via. Costituire una Fondazione che potesse garantire la tutela dei diritti e, nel concreto, l’attuazione di progetti altamente qualitativi, va proprio in questo senso: impedire cioè allo Stato una deriva sociale. Chiaramente non pensiamo di sostituirci allo Stato, però di essere un pungolo per far ripartire iniziative a tutela delle persone con gravi disabilità, certamente sì».
I vostri rapporti con l’ASL, i Servizi Sociali e altre strutture o enti preposti alla tutela della salute e della miglior vita possibile dei cittadini sono stati e sono positivi o negativi? Avete avuto criticità o dinieghi legati a singoli operatori e/o con il complesso delle strutture?
«Come ben sai, se uno vive la disabilità senza mirare a un aumento della qualità della vita, a un benessere vero della persona con disabilità, allora i rapporti con gli enti sono pacifici. Ma siccome noi siamo una famiglia che chiede per Lorenzo – e di conseguenza anche per altri – il massimo di ciò che è previsto dalla normativa vigente, il nostro rapporto con i vari enti che gravitano intorno al pianeta disabilità è stato sempre conflittuale.
In questa situazione, nei primi anni di vita di Lorenzo, avevamo una sola via d’uscita: costituire una grande associazione. Ricordo che nel corso dei primi viaggi negli Stati Uniti, nell’aprile del 1994, in un pomeriggio nella periferia di Philadelphia, da un incontro con le famiglie Gnesini e Cavicchi, emerse la necessità di avere un’associazione che si facesse carico con le Istituzioni italiane dei gravi problemi che le famiglie delle persone con grave disabilità dovevano affrontare nel momento in cui decidevano di fare percorsi alternativi rispetto a quanto offerto dal Servizio Sanitario Nazionale.
Il primo nucleo, continentale, della futura ABC [Associazione Bambini Cerebrolesi, N.d.R.] è nato in quel periodo. L’ABC, che già aveva vita in Sardegna, grazie all’iniziativa di Marco Espa, iniziava a muoversi e a formarsi sul territorio nazionale, con il lavoro di alcune famiglie che a tutt’oggi sono parte integrante della stessa e con altre che, per un motivo o per l’altro, hanno poi fatto cammini diversi.
Le prime grandi battaglie condotte erano relative al diritto di cura e al rimborso dei viaggi all’estero, battaglie portate avanti con dignità e fermezza e alla fine vincenti. Quando abbiamo scelto di portare Lorenzo agli Istituti di Philadelphia, ci siamo trovati a sostenere spese enormi, relative ai viaggi, al soggiorno e alla visita, che non venivano rimborsate dal Ministero.
Ricordo, tra le altre iniziative portate avanti, il presidio davanti al Ministero della Sanità dove, con l’allora ministro Guzzanti, riuscimmo a ottenere una prima epocale Circolare emanata a tutti gli Assessori alla Sanità Regionali, che dava il via libera all’istruzione delle pratiche per i rimborsi alle nostre famiglie che portavano i ragazzi con cerebrolesioni a Philadelphia. Chiaramente, con l’imperante federalismo, il recepimento di quella Circolare sul territorio nazionale è stato tutt’altro che univoco.
Un altro grosso scontro con un altro ente lo abbiamo avuto quando con Lorenzo si è deciso di frequentare la scuola».
Appunto, il mondo della scuola, con il quale siete sempre stati molto impegnati. Com’è stato il cammino, visto che oggi Lorenzo è all’università?
«Abbiamo la normativa più avanzata in relazione all’integrazione scolastica e non riusciamo a farla applicare, se non a prezzo di enormi sacrifici, discussioni, convegni, istanze, mobilitazioni. Penso ad esempio a quando ci siamo posti il problema della frequenza scolastica con Lorenzo.
Lorenzo è stato seguito dagli Istituti di Philadelphia fin dai primi anni di età e nella strategia che veniva proposta per lui era incluso anche un programma intellettivo. Abbiamo dunque elaborato, sin da quando Lorenzo aveva 6 anni, un progetto di istruzione domiciliare che è durato per tutta la scuola dell’obbligo, finanziato dalla Fondazione Carispe [Cassa di Risparmio della Spezia, N.d.R.], che prevedeva una serie di lezioni individuali (insegnante e studente a contatto diretto), con esamino finale per i primi quattro anni delle elementari e, a partire dall’esame del quinto anno delle elementari, ogni anno, fino all’esame di terza media, un esame a domicilio, concordato con l’allora Provveditorato agli Studi della Spezia ed effettuato alla presenza dell’ispettore Manlio Erta.
Inoltre, un ruolo importante inserito nel progetto era quello dell’assistente alla comunicazione che permetteva – e permette tuttora – a Lorenzo di rapportarsi con gli interlocutori, dapprima con l’uso di tabelle e successivamente tramite un computer.
Questo percorso di istruzione domiciliare si è interrotto con il passaggio alle scuole superiori, quando è terminato il finanziamento della Fondazione Carispe – in quanto non più scuola dell’obbligo – cosicché, non avendo più la possibilità di pagare gli insegnanti, abbiamo deciso un percorso di integrazione parziale, anche grazie ai miglioramenti rispetto alla patologia di Lorenzo.
Durante questo percorso abbiamo cercato di dare a Lorenzo, e ad altri ragazzi con cerebrolesione o altre gravi disabilità, la possibilità di effettuare questo percorso con tutti i crismi previsti dalla legge e integrati nel sistema scolastico. Purtroppo questo – al di là delle parole scritte su qualche documento – è sempre stato impedito nei fatti, dal momento che, per il mondo della scuola, il diritto all’istruzione era, ed è tuttora, garantito solamente per gli studenti che sono in grado di frequentare materialmente l’istituto scolastico. Per le persone con gravi disabilità che non possono abbandonare la casa e/o non possono smettere la terapia, se non a rischio della loro incolumità, il diritto allo studio sancito dalla Costituzione è nei fatti precluso.
Ricordo le riunioni con le associazioni nell’Osservatorio Nazionale per l’Integrazione Scolastica, ricordo gli incontri al Ministero con Marco Espa, anche lui come me vicepresidente dell’ABC, con il sottosegretario Gambale, insieme al quale cercavamo di dare una forma legislativa al nostro e ad altri progetti di integrazione. Ma tutto era reso vano dalla burocrazia, dai cambiamenti politici e dalla miopia di molti dirigenti della scuola».
Oggi, come dicevamo, Lorenzo è uno studente-universitario-con-disabilità-gravissima. La scelta della facoltà e la sua sede geografica, il tutor, il referente di ateneo per la disabilità, la frequenza, gli esami, i rapporti con i docenti e con gli altri studenti: vuoi raccontarci l’esperienza della tua famiglia in questo àmbito?
«L’esperienza universitaria di Lorenzo ha avuto inizio alla Facoltà di Ingegneria Meccanica, sia per continuità con i suoi precedenti studi (Liceo Scientifico Tecnologico), sia per la propensione per le discipline scientifiche e tecnologiche che aveva manifestato sin dalle scuole medie. Prima di iscriverlo, abbiamo contattato il responsabile dell’inserimento degli studenti disabili dell’Università di Genova e, con un video, abbiamo spiegato le modalità con cui Lorenzo avrebbe potuto sostenere gli esami, cioè digitando su una tastiera con accanto a sé Elisa, l’assistente alla comunicazione, che lo coadiuvava reggendogli il braccio e che lo aveva seguito dagli anni del liceo, sostenendo insieme a lui tutte le verifiche e lo stesso esame di maturità. Nonostante il ruolo e la serietà della persona, avevamo previsto che in sede d’esame si sarebbero adottate misure per assicurarsi ulteriormente che lei non potesse condizionare la risposta (ad esempio non leggendo la domanda ecc.). Le capacità cognitive di Lorenzo, invece, non sono state messe in discussione perché il Preside di Facoltà aveva preso contatti con il liceo, che aveva dato rassicurazioni in tal senso.
Un giorno, però, arriva il primo esame, che viene interrotto brutalmente dal Preside, con il sospetto che l’assistente alla comunicazione stesse rispondendo al posto di Lorenzo. Per il disappunto di tutti, docente compreso, l’esame viene sospeso e il Preside esige che Lorenzo non venga toccato durante la prova. Chiediamo dunque un incontro per chiarire l’accaduto. La docente di Analisi ci rassicura circa la modalità di esame “a risposta chiusa”, perché sostiene che a lei interessa che Lorenzo dimostri di avere capito i concetti e i percorsi da seguire per risolverlo e ciò è fattibile anche con una prova strutturata a quiz. Il Preside non fa obiezioni. Chiedo più volte ai presenti – e allo stesso Preside, in particolare – se ci siano altri problemi di cui parlare. ma tutti si ritengono soddisfatti. Allora spiego che se Lorenzo non viene toccato – cosa pretesa dal Preside – non può sostenere l’esame perché non può gestire perfettamente il braccio. Se quindi il sospetto è che la prova non sia trasparente, le precauzioni da prendere possono esere altre, tipo non far leggere ad Elisa le domande.
Ripetiamo dunque l’esame, che inizia bene e il commento velenoso del Preside rivolto ad Elisa è: «Vedo che lei, signorina, questa volta ha studiato di più!». Cresce il nervosismo, Lorenzo diventa rigido, fa fatica a rispondere ed Elisa mi dice di avere percepito chiaramente che egli comincia a dare risposte a caso, per potersene andare rapidamente da lì. Infatti, risponde male a domande cui a casa aveva risposto bene più di una volta. Lorenzo è arrabbiato e demotivato.
Per l’esame successivo, Elisa e il tutor incontrano il docente di Chimica e prendono accordi su tutti gli aspetti dell’esame. Il giorno del nuovo esame, però, accade un’altra cosa incredibile. La prova consiste in sei domande “a risposta chiusa”, suddivisa in due giorni, per evitare l’eccessivo affaticamento di Lorenzo. Tra le prime tre domande, ne viene proposta una che prevede tutte le risposte sbagliate. A fine prova, lo si fa presente al Professore, lui dice che si tratta di una svista, si scusa e assicura che non verrà considerata come un errore; alle altre due domande formulate bene, invece, Lorenzo risponde correttamente. Il giorno dopo, però, si ripete lo stesso inconveniente: nella seconda domanda, infatti, si trovano ancora solo risposte sbagliate. Lorenzo si innervosisce e risponde male anche alla terza. A fine prova, il docente si rende conto di avere ripetuto l’errore della prima giornata, ma assicura che farà presente la cosa alla “commissione” e che possiamo stare tranquilli. Pochi giorni dopo arriva la mail di questa fantomatica commissione che ci comunica che l’esame non è stato superato…
In genere, ci siamo domandati quale strategia di difesa adottare, senza fare “terra bruciata” attorno a Lorenzo, ma per ogni scelta fatta, si sentiva palpabile l’ostilità: difficoltà incredibili a trovare tutor specializzati, ostracismo alla frequenza dei corsi che non prevedevano un esame, altri piccoli segnali che facevano crescere l’ostilità nei confronti di Lorenzo. L’ostilità è terribile perché ti fa sentire – oltre che diverso – anche indesiderato. A questo punto ho pensato fosse più “igienico” per mio figlio cambiare decisamente aria.
Lo abbiamo quindi iscritto all’Università di Pisa e, siccome gli Atenei hanno sempre problemi a individuare un tutor, diversamente da quanto dichiarano sui siti internet, lo abbiamo iscritto a Storia dell’Arte, disciplina che a lui piace (oltre a Scienza e Tecnologia), che ci dà la possibilità di aiutarlo personalmente senza dipendere da un tutor. Il primo impatto con l’Università pisana è stato buono, ora sta preparando un esame che darà a fine giugno».
Ai nostri figli con disabilità gravissima spesso era stata pronosticata – con certezza – una breve e infelice esistenza. Molto breve e molto infelice. Credo che la vita di Lorenzo possa essere un’attendibile testimonianza di quante cose ritenute prima impossibili si possano riuscire a fare e a fare bene. E di come la medicina resti una scienza almeno “imprecisa”…
«Per poter capire quello che sta facendo adesso Lorenzo, bisogna sapere quello che è stato fatto per lui nel corso degli anni. Come si diceva, Lorenzo è affetto dalla nascita da una grave forma di tetraparesi spastica e per lui abbiamo sempre seguito metodi di terapia intensiva. L’approccio alla terapia per superare la cerebrolesione ci ha visti impegnati ventiquattr’ore al giorno per anni, a volte anche litigando per le diverse visioni sul modo di fare, ma sempre uniti con un unico obiettivo: andare avanti nell’incremento della qualità della vita di Lorenzo.
Abbiamo imparato, studiato, applicato quanto appreso nel corso degli anni, tutto per garantirgli una qualità della vita diversa. Come direbbe uno dei “fari” della terapia riabilitativa per i cerebrolesi: siamo diventati dei “genitori professionisti”.
Non sapevamo dove Lorenzo poteva arrivare, né come e nemmeno a quale prezzo, sia per lui che per noi. Quello che sapevamo, come genitori, era che dovevamo fare e non delegare ad altri.
Ancora oggi, dopo ventiquattro anni, continuiamo nel nostro impegno per garantire a Lorenzo una qualità della vita in un futuro anche senza di noi. Il nostro impegno, poi, ha garantito un miglioramento costante a tutto il nucleo familiare, perché è chiaro che se si riesce a contrastare la disabilità, sotto ogni forma in cui si presenta, si migliora tutti assieme.
Ora Lorenzo divide il suo tempo tra lo studio a livello universitario, la terapia riabilitativa e lo svago. La sua settimana tipo si svolge così: due volte alla settimana si alza alle cinque, per poter essere accompagnato a lezione alla Facoltà di Storia dell’arte a Pisa (a circa 70 chilometri da casa), le altre mattine della settimana si alza alle 7 per poter camminare con il deambulatore in riva al mare per circa due chilometri al giorno. I pomeriggi, invece, sono dedicati alle uscite e alla terapia. Alcune volte, inoltre, esce per andare a cena con dei volontari.
Lorenzo è un ragazzo felice e soddisfatto dei successi che ha avuto. Lorenzo è affetto da tetraparesi spastica grave e secondo il parere dei medici del Servizio Sanitario Nazionale, come conseguenza di questa grave patologia, avremmo dovuto dimenticarlo!».
Questa volta, nelle parole conclusive di Alessandro Ludi, non c’è il veleno («avremmo dovuto dimenticarlo» può significare infatti: a) dimenticare di averlo avuto, fare come se non esistesse; oppure: b) dimenticarlo in qualche triste luogo di reclusione e di dolore), c’è invece l’antidoto al veleno della rassegnazione, l’amore per il figlio con disabilità gravissima, amore che talvolta può generare anche risultati riabilitativi sorprendentemente positivi.