Quando in piscina un “disabile” diventa una “persona”

Senza avvertire i partecipanti, una persona con disabilità visiva, che pratica il nuoto, interviene a un corso per istruttori di tale disciplina e ben presto sono proprio i tecnici a doversi “integrare”, confrontandosi direttamente con la disabilità, e non più con i “fantasmi” di essa, fino a pensare di modificare la loro metodologia in funzione di un problema reale. È accaduto qualche settimana fa, nella Piscina Comunale di Nuoro

Nuoro, 1° maggio 2013, Piscina Comunale: gli istruttori di nuoto con Andrea Ferrero, persona con disabilità visiva

Un’immagine dell’incontro degli istruttori di nuoto, alla Piscina Comunale di Nuoro, con Andrea Ferrero, persona con disabilità visiva

Inflazionato come non mai, il verbo integrare sta conoscendo in questi ultimi anni una riscoperta senza precedenti. Una verità evidente a tutti è che – quasi sempre – diamo per scontato che debbano essere le persone con disabilità a integrarsi alle nostre consuetudini e che – sempre loro – debbano essere costrette ad adeguarsi alle nostre inadeguatezze, siano esse mentali oppure “semplicemente” architettoniche. Anche per questo amo chiamare queste persone “bis-abili”, ovvero due volte abili, sia cioè nel far fronte alle proprie difficoltà che a quelle altrui.

Ma qui parliamo di istruttori sportivi. Il primo maggio scorso, infatti, si è svolto nella Piscina Comunale di Nuoro un corso per istruttori di nuoto organizzato dal Comitato Regionale Sardo della FIN (Federazione Italiana Nuoto) e davanti a una platea di circa venti istruttori – già operanti in diverse Società Sportive (si trattava infatti di un corso per salire di livello) -, è stata lanciata una vera e propria “sfida”. Senza cioè avvertire i partecipanti, è entrato in aula Andrea Ferrero, un “ragazzo” di 40 anni diventato non vedente a causa di una malattia cronico-degenerativa. Laureato in Economia e Commercio, sposato e impiegato presso un importante centro di ricerca isolano, Andrea pratica il nuoto da qualche anno.
Silenzio in sala. Se non sconcerto, sicuramente curiosità. Nei volti degli allievi si poteva leggere chiaramente lo stupore misto a un ombra di preoccupazione.
Nelle ore successive, quindi, Andrea si è raccontato in un clima generale di attenzione e di empatia davvero suggestivo. Coraggioso e sempre ironico, senza troppi giri di parole o inutili fronzoli, ha catalizzato da subito l’attenzione degli istruttori, auspicando uno sforzo maggiore per far sì che anche una professione come quella del tecnico sportivo possa trasformarsi in un’opportunità per le persone con disabilità visiva.
Dopo questa presentazione, il clima in aula è notevolmente cambiato. Agli occhi dei presenti, Andrea non era più un semplice disabile, ma ricominciava ad essere una persona: non più una “fredda diagnosi” con cui confrontarsi, bensì un individuo con bisogni speciali, come suggerito ad esempio dalla Classificazione ICF del Funzionamento, della Salute e della Disabilità, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Al termine della  chiacchierata, tutti gli istruttori sono stati invitati a lavorare con Andrea in acqua. Suddivisi in gruppi, ad ognuno è stato dato un obiettivo specifico da perseguire.
Questa fase ha permesso ai tecnici di confrontarsi direttamente con la disabilità e non più con i suoi “fantasmi”, modificando la metodologia e la didattica in funzione di un reale problema. Così facendo, la teoria è diventata pratica, le paure si sono trasformate in opportunità e la programmazione – genericamente ideata per un minorato della vista – ha immediatamente preso la forma della persona su cui bisognava applicarla. Programmazione individuale e integrazione al contrario: di questo si tratta.
È stato molto significativo notare che non Andrea, ma gli stessi istruttori, apparivano molto preoccupati e timorosi di sbagliare. Normalmente, infatti, accade l’esatto contrario, vale a dire che in genere è la persona con disabilità a temere di essere o di apparire inadeguata al contesto in cui si muove e si relaziona. L’istruttore come “fattore contestuale”, quindi, non è un’utopia, ma una promessa troppo spesso disattesa.
Poi, dopo la pratica in acqua, ancora tutti in aula per il confronto e l’analisi specifica con il docente e il vociferare in sala ha immediatamente dato la misura della portata dell’evento negli animi degli allievi, tanto che non è stato per niente semplice coordinare e moderare i numerosissimi interventi.

Subito dopo la fase di confronto tra docente e allievi, per tutti è arrivato il momento dell’esame “informale”, il più temuto e atteso dagli istruttori. Un momento davvero intenso e significativo, anche perché Andrea non ha fatto sconti a nessuno, neppure al docente che scrive.
Ha elogiato il gruppo per l’impegno e la sensibilità dimostrati, ma non ha omesso piccole critiche e preziosi suggerimenti. Infine, ha “promosso” tutti, consapevole che momenti come questo possono davvero impedire che una minorazione fisica e sensoriale – anche in piscina – si trasformi in handicap, a causa della mancata “integrazione” degli istruttori e del contesto generale.

*Presidente dell’Associazione Il Raglio di Cagliari, idrochinesiologo e istruttore IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) di nuoto e motricità per bambini non vedenti.

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