Il diritto alla bellezza è un diritto di tutti

Intervista a Giovanna Cotroneo di Antonio Giuseppe Malafarina*
Mostre, musei, siti archeologici: qual è la situazione oggi nel nostro Paese, dal punto di vista della reale fruibilità per tutti? «C’è un bel po' di strada da fare», dice Giovanna Cotroneo della Sezione Italiana dell’ICOM, organizzazione internazionale dei musei e dei professionisti museali. Ma forse sta crescendo una coscienza nuova. Ne parliamo con la stessa Cotroneo
Città sotterranea di Napoli
Un’immagine della città sotterranea di Napoli

Fra i tanti temi legati all’accessibilità, ce n’è uno che seguo da anni. Parlo di investire sul nostro immenso patrimonio artistico, per metterlo a disposizione del turista che sia in carrozzina, con problemi alla vista, all’udito o di cognizione.
Troppe volte abbiamo visto cercare didascalie dai contenuti improbabili in mostre d’arte moderna e contemporanea che – esposte con gusto estetico e stupidità pratica – causavano problemi cognitivi ai visitatori senza ruote e con tanto d’occhi. Eppure, con un carattere un po’ più grande, una teca un po’ più bassa e dei sottotitoli, aiuteremmo anche bambini e anziani, con il minimo sforzo.
In questo panorama si è tenuto a Napoli, nei giorni scorsi, il convegno Accessibilità e valorizzazione dei Beni Culturali: politiche, strumenti e progetti innovativi [se ne legga nel nostro giornale l’ampia presentazione, N.d.R.], durante il quale si sono confrontate alcune tra le più importanti voci del settore, tra cui quella di Giovanna Cotroneo, archeologa e museologa, componente della Commissione Accessibilità Museale di ICOM Italia (International Council of Museums) e consigliera di ICON Lazio. La conosco da una vita e la sua affermazione «per me la cultura è partecipazione, inclusione, condivisione e diffusione di buone pratiche» è il suo miglior biglietto da visita.

Qual è la situazione dell’accessibilità museale oggi in Italia?
«C’è un bel po’ di strada da fare. Primo, prendere coscienza, capire cosa significhi rendere realmente accessibili i musei. Poi passare all’azione. Nei musei italiani il concetto di accessibilità è spesso collegato alle azioni connesse con la “progettazione speciale”, dedicata ad utenti con particolari bisogni. Il rischio che si corre nelle sperimentazioni per fasce di utenti (ad esempio persone sorde, cieche, malati di Alzheimer) è che possa risultare addirittura discriminante. Il museo dovrebbe porsi in un’ottica diversa: ascoltare i bisogni di tutti i suoi utenti e avviare una progettazione sensibile, magari con l’ausilio di esperti in materia».

Ma come si rende accessibile una struttura museale o, in generale, un bene culturale?
«Innanzitutto ascoltando i bisogni del pubblico. Ogni museo troverà le sue soluzioni, non esistono regole precostituite. La progettazione accessibile è una sfida, non un problema. Occorre una buona dose di creatività per ovviare ai costi spesso molto elevati di un allestimento, occorre un dialogo con gli utenti, occorre la voglia di rimettersi in discussione. E, poi, qualunque sia il valore dell’intervento, il diritto alla bellezza è un diritto di tutti, e come tale va garantito a tutti».

Che cosa fa ICOM Italia per l’accessibilità?
«Dal 2007 è attiva la Commissione Tematica Accessibilità Museale, un gruppo di lavoro coordinato da Dario Scarpati. La Commissione studia le strutture espositive e i servizi offerti ai pubblici; sviluppa sistemi di comprensione dei rapporti che intercorrono tra le strutture museali e le persone con disabilità fisiche, sensoriali, cognitive; studia le normative vigenti in tema di accessibilità».

In che modo l’accessibilità può essere una risorsa anche sotto il profilo economico?
«Miriam Mandosi, del Direttivo Nazionale di ICOM Italia, sostiene che conviene al museo perché acquisisce letture nuove del patrimonio. E da un’offerta culturale più ampia, più accessibile, meno discriminante si ha un ritorno nel numero delle visite».

La recente due giorni di Napoli, dedicata all’accessibilità e alla valorizzazione del patrimonio culturale, è stata organizzata dal Polo Culturale Pietrasanta. Di che cosa si tratta esattamente?
«Il Polo Culturale Pietrasanta nasce a Napoli grazie all’iniziativa di un gruppo di coraggiosi imprenditori, privati cittadini, che hanno dato vita a un processo di riqualificazione dell’area in cui sorge la Basilica di Santa Maria Maggiore, detta appunto la Pietrasanta, per troppo tempo assoggettata alla criminalità organizzata. Fino a dieci anni fa, gli interni della Basilica erano una “pista di go-kart”, nella piazzetta antistante sorgeva un campo da calcio abusivo e la Cappella del Cappuccio era diventata un ricovero per cani abbandonati! L’area è stata liberata dal racket, si è costituita un’associazione e l’Arcidiocesi di Napoli ha affidato questo bene in comodato d’uso.
Si tratta di un sito di straordinario interesse storico, archeologico e artistico. Il progetto di valorizzazione prevede più obiettivi, ma la vera attrazione sarà un percorso museale e multisensoriale nella città sotterranea accessibile a tutti».

Abbiamo sentito parlare anche dei ricoveri antiaerei…
«Esattamente. Nel sottosuolo di Napoli, infatti, sono state mappate circa duecento cavità utilizzate durante la seconda guerra mondiale come ricoveri antiaerei. A quaranta metri dal piano di calpestio della città odierna si nasconde la città sotterranea, che è un luogo di sorprendente bellezza, tra quel che rimane dell’acquedotto romano e le fondazioni delle mura greche, frammenti affioranti di ceramica e di pasta vitrea. Una grande emozione che sarà presto alla portata di tutti, anche grazie all’uso di scooter e carrozzine speciali ideati per quegli spazi».

Il tuo intervento al convegno di Napoli era centrato sulla necessità di un “dialogo” tra museo e società, tramite un nuovo strumento di analisi dell’accessibilità museale…
«In sintesi, con ICOM Italia, abbiamo somministrato un questionario a direttori e curatori museali, per valutare il grado di percezione di ciascuno in relazione al “proprio” museo in tema di accessibilità. Segue un’analisi oggettiva della struttura museale, con le sue buone pratiche e le criticità. Il confronto tra percezione e realtà è utile perché mostra come spesso sia differente la percezione dell’intervistato da come il museo si presenta realmente. Presto arriveremo a un’elaborazione dei dati e alla pubblicazione del progetto di ricerca. L’intento è quello di aprire appunto un dialogo tra museo e società e offrire un servizio ai musei che vogliano mettersi in gioco, accettare la sfida e progettare per un’accessibilità allargata».

Un bilancio di quell’incontro?
«Molto positivo. Fabrizio Vescovo, architetto urbanista, ha chiuso i lavori del convegno con questa esortazione: “Non aspettate che le cose succedano, fate in modo che le cose accadano”».

Le cose, dunque, stanno così: io vorrei pagare il prezzo intero del biglietto per accedere a mostre, musei e siti archeologici, a patto di poterne fruire pienamente. L’accompagnatore, quello no, entra gratis perché accudisce la persona a prescindere dall’accessibilità del sito. E voi che ne pensate?

Il presente testo, qui riproposto con minimi riadattamenti al diverso contenitore, è apparso anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “L’accessibilità al nostro patrimonio di beni culturali: a che punto siamo?”. Viene qui ripreso per gentile concessione.

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