Buon giorno Dario [Dario Petri, N.d.R.]. Vuoi presentarci la tua famiglia?
«Certo, Giorgio! Siamo in quattro. Mio figlio maggiore Davide, la secondogenita Elena, mia moglie Gina ed io».
Se ricordo bene, ci siamo conosciuti a Fauglia (Pisa), quando con i nostri figli seguivamo il “metodo Doman”**, un ventina d’anni fa. E dico “seguivamo” perché il metodo impegnava tutta la famiglia a tempo pieno. Che ricordi hai di quell’epoca “pionieristica”?
«Ricordi bene, Giorgio. Gina ed io avevamo aderito alla proposta degli Istituti per lo Sviluppo del Potenziale Umano di Philadelphia – fondati appunto da Glenn Doman – per nostro figlio Davide, affetto da una gravissima disabilità e che allora aveva circa due anni, perché in Italia non eravamo riusciti a trovare alcuna proposta credibile per aiutarne lo sviluppo. Figurati, che non solo non eravamo riusciti a trovare un qualsiasi trattamento con almeno una base di plausibilità, ma gli specialisti che avevamo consultato in due anni di vita di Davide (ed erano tanti) non erano nemmeno stati in grado di diagnosticare i suoi gravissimi problemi sensoriali (vista, udito, tatto). Addirittura, per quasi due anni, lo abbiamo accompagnato a due-tre sedute settimanali di “fisioterapia”, in cui un operatore insisteva nel mostrargli dei giocattoli di fronte a uno specchio per attirare la sua attenzione, ma senza successo. In tutto questo tempo nessuno degli specialisti a cui ci siamo rivolti si è mai chiesto se, e quanto, Davide fosse in grado di vedere. Ce ne siamo dovuti accorgere da soli, con semplici indicazioni contenute nel libro che Doman ha scritto per i genitori! E avremmo altri esempi di questo tipo da raccontare.
Purtroppo, tra gli specialisti italiani era – ed è ancora – poco diffusa un’adeguata conoscenza professionale relativa alle disabilità gravissime. Hai quindi perfettamente ragione quando scrivi che quella era un’epoca “pioneristica”. Purtroppo, però, la situazione non è molto cambiata e anche i novelli genitori di oggi si trovano ancora a dover fare i “pionieri”. L’unica cosa che è realmente cambiata è la maggiore facilità con cui è possibile accedere alle informazioni e mettersi in contatto con altre famiglie, grazie a internet».
Uno dei problemi che solitamente si pone alla famiglia con disabilità è quello del conciliare il lavoro con il prendersi cura e con la riabilitazione. Come vi eravate organizzati inizialmente e come lo siete oggi?
«Per quanto mi riguarda, fortunatamente ho un orario di lavoro abbastanza flessibile, per cui riesco a recuperare il tempo che dedico alla cura di Davide, lavorando alla sera tardi o nei fine settimana. Gina, invece, ha dovuto optare per un lavoro part-time, con orario molto ridotto (è stata fortunata ad avere un datore di lavoro disponibile); in questo modo ha avuto però ricadute negative sia dal punto di vista economico che nella carriera»
Cosa sostiene la famiglia con disabilità negli anni che passano, soprattutto nei momenti più difficili?
«Il sostegno principale è lo stesso che tiene in piedi ogni famiglia che si trova di fronte alle difficoltà: l’amore di coppia, sulla base del quale condividere e costruire un progetto di vita per tutta la famiglia».
Ora una domanda direttamente a tua moglie Gina: come gestisce “il resto della famiglia” la madre di un ragazzo con disabilità grave o gravissima?
«Naturalmente la gestione di una famiglia che convive con queste difficoltà non è un compito facile. È di grande aiuto innanzitutto la piena condivisione delle problematiche: questo comporta un evidente aiuto pratico e, ancora più importante, la consapevolezza di essere una “piccola squadra” che si ingegna nel gestire le incombenze con disponibilità e serenità.
Un aspetto incredibilmente importante in un’esperienza così impegnativa sta nel riuscire a discernere con estrema lucidità le cose, le persone, gli impegni che “meritano” il nostro tempo e la nostra attenzione. Questo ci rende consapevoli che i nostri giorni (e le nostre notti) sono sì pieni di pensieri e di fatiche, ma anche ben spesi».
E naturalmente una domanda anche per Elena: ci racconti qualcosa del tuo rapporto con Davide, com’era quando eri piccolina e com’è oggi?
«Con Davide ho sempre avuto un rapporto positivo, anche se ricordo che quando ero piccola, ero un po’ gelosa delle attenzioni che i miei genitori gli riservavano. Fino a qualche anno fa non ero in grado di fare molto per mio fratello, se non dimostrargli il mio affetto. Ora, oltre a questo, cerco di aiutarlo nelle sue necessità, per quanto mi è possibile. Mi rendo conto di tutto quello che i miei genitori hanno fatto e stanno facendo per lui e anch’io voglio unirmi a loro per aiutarlo a vivere nel migliore dei modi.
Ora vedo Davide anche come un “grande maestro”: grazie a lui, infatti, ho imparato l’importanza delle piccole cose, dei piccoli gesti, come una carezza o una stretta di mano. Inoltre, lo ammiro perché ha sempre il sorriso sulle labbra, in qualsiasi situazione e ogni in momento del giorno, nonostante tutti i suoi problemi. Solo lui, tra tutte le persone che conosco, dimostra questa continua felicità nei confronti della vita e mi fa capire il valore della vita e la gioia che da essa si può ricavare. Credo che molte delle esperienze positive che ho vissuto e degli insegnamenti che ne ho tratto siano in gran parte merito di Davide. Ritengo che mio fratello mi abbia dato molto di più di quello che io riesco ad offrigli».
Torniamo a parlare con Dario. Tu hai fatto parte, anni addietro, di due Commissioni Ministeriali per la Riabilitazione Pediatrica. Che ricordo hai di quelle esperienze ? Hanno portato a dei frutti? E oggi?
«Il ricordo è senz’altro positivo. Sono state ottime opportunità di crescita personale sul piano umano, oltre che occasioni per conoscere lo stato degli interventi di riabilitazione pediatrica a livello nazionale e internazionale. Ho avuto il privilegio di conoscere diversi esperti di settore di livello internazionale e di affrontare assieme a loro alcune questioni cruciali per il mondo della riabilitazione pediatrica, coniugando il punto di vista dei professionisti con quello delle famiglie. Con alcuni di questi esperti sono ancora in contatto, anche se sono ormai passati quasi quindici anni del termine dei lavori della seconda Commissione. In particolare, ho potuto sperimentare una disponibilità al dialogo e una capacità di mettersi in discussione e di riconoscere i limiti di quanto viene proposto dal Servizio Sanitario Nazionale, che è molto raro trovare nel territorio.
La seconda Commissione, in particolare, ha prodotto un documento culturalmente molto avanzato, che purtroppo non è stato pubblicato dal Ministero. Le famiglie dell’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi), però, lo hanno reso pubblico in internet.
A seguito di quelle Commissioni, inoltre, sono state avviate delle iniziative di riflessione e di studio nell’ambito delle Società Mediche maggiormente coinvolte. Queste iniziative sono tuttora in corso e stanno producendo dei cambiamenti nella cultura del sistema, seppure ancora molto lenti e spesso di estensione limitata».
La tua presenza nell’associazionismo e nell’organizzazione dei diritti dei cittadini con o senza disabilità è sempre stata forte. Come vedi oggi la situazione in questo settore a livello nazionale e sul tuo territorio?
«Purtroppo il tempo che riesco a dedicare all’associazionismo non è quanto vorrei, data l’ampiezza e l’importanza delle problematiche derivanti dallo scarso riconoscimento dei diritti delle famiglie con disabilità e, più in generale, di tutti i cittadini.
Come ben sappiamo, il periodo che stiamo attraversando è piuttosto difficile, sia sul piano economico, sia su quello sociale, e i ceti più deboli (tra cui le famiglie con disabilità) sono quelli che risentono maggiormente della gravità della situazione. Né vanno sottovalutati gli effetti negativi determinati dalla mancanza di fiducia nelle Istituzioni e da un diffuso pessimismo sul futuro, entrambi, purtroppo, non privi di fondamento.
In questo quadro piuttosto fosco, l’associazionismo volontario riscuote ancora un elevato livello di fiducia e spesso riesce a far sentire la voce dei cittadini e a dare risposte concrete a chi ne ha bisogno. Per questo ritengo che la cittadinanza attiva sia una delle principali strade (se non la strada) da percorrere, per uscire da questa profonda crisi di valori, sociale ed economica che attanaglia la nostra Società. È indispensabile, insomma, che ciascuno di noi si attivi in prima persona, per cercare di migliorare il mondo in cui viviamo.
Una domanda insidiosa: i rapporti tra famiglie con disabilità, professionisti del settore e rappresentanti politici “preposti ai lavori”. Quale il bilancio?
«Hai detto bene, Giorgio, una domanda insidiosa. Ma me la cavo ricordando che su questo argomento tu hai sempre espresso molto bene – mischiando ironia e un po’ di amarezza – il punto di vista delle famiglie dell’ABC. Rinvio quindi i lettori interessati ai tuoi vari scritti».
Grazie Dario, a te e a tutta la tua famiglia. Vi sono debitore di un vassoio di focaccia fumante e di una bottiglia di bianco secco delle colline savonesi (Lumassina)…
«Grazie a te, Giorgio, ci farà molto piacere ritrovarci a tavola con te e la tua famiglia alla prima occasione. Da parte nostra porteremo una buona bottiglia di grappa delle nostre zone (Veneto), per festeggiare il lieto incontro».
A questo punto non creda, qualche incauto Lettore, che i riferimenti enogastronomici autorizzino l’idea che l’ABC, da Associazione Bambini Cerebrolesi, sia diventata l’“Associazione Buongustai Crapuloni”. Infatti, il riferimento a cibi e vini è dovuto al fatto che riusciamo a vederci più o meno una volta all’anno, in genere a cena, la sera prima di qualche convegno. È la cosiddetta “cena dei relatori”, con riferimento non tanto al convegno del giorno successivo, ma alle lunghe relazioni sull’attività delle nostre famiglie nell’anno trascorso, che ci scambiamo reciprocamente in tali circostanze.
**Recentemente scomparso, Glenn Doman aveva sviluppato insieme a Carl Delacato un approccio alla cura dei bambini con lesioni cerebrali, diventato poi noto come “metodo Doman”, discusso da più parti. Con gli Istituti per lo Sviluppo del Potenziale Umano, fondati a Philadelphia e rappresentati anche in Italia a Fauglia (Pisa), Doman fece conoscere le proprie idee e i propri metodi, formando i genitori ad applicarli. Si legga anche un approfondimento curato da Giorgio Genta per il nostro giornale.