«Dei 9 milioni di euro [esattamente 9 milioni e 80.000 euro, N.d.R.] destinati alla Regione Lazio dal Ministero del Welfare per i malati di SLA [sclerosi laterale amiotrofica, N.d.R.], faticosamente ottenuti nel 2010 a fronte di proteste di piazza, sono giunti alle casse dei Comuni solo 1 milione e 750.000 euro. Ancora nulla, però, alle famiglie. E alcuni Comuni, tra cui Roma, non hanno ancora predisposto la modulistica per accedere al sostegno sociale, mentre i malati aspettano i tempi pachidermici della burocrazia, in attesa di un aiuto concreto che forse non giungerà».
Lo si legge in un comunicato congiunto delle Associazioni Viva la Vita (Associazione di Familiari e Malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica) e Luca Coscioni, riferendosi a provvedimenti di cui il nostro giornale, a suo tempo, aveva seguito passo dopo passo il percorso quanto meno tortuoso, che dopo le proteste di piazza già ricordate, aveva portato dapprima a destinare 100 milioni di euro per «interventi in tema di sclerosi laterale amiotrofica per la ricerca e l’assistenza domiciliare dei malati» (Legge 220/10), successivamente alla ripartizione di quella somma alle Regioni, con il Decreto Interministeriale dell’11 novembre 2011.
In occasione di quest’ultimo, tra l’altro, avevamo anche registrato la presa di posizione della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), secondo la quale la destinazione di quei 100 milioni di euro, pur segnando «un importante passaggio nel supporto a persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, grave patologia che si contraddistingue per una severa compromissione dell’autonomia personale e un notevolissimo impegno assistenziale», presentava però «significativi profili di disparità di trattamento, sconfinanti nella discriminazione rispetto a persone con uguali necessità».
Ma tornando all’attualità e al contesto della Regione Lazio, l’odierna denuncia delle Associazioni Viva la Vita e Luca Coscioni parte da quello che appare come un dato di fatto, ovvero che «le casse dell’Assessorato Regionali ai Servizi Sociali sono completamente vuote e non è possibile emanare le determine attuative già previste in una delibera del 2012», vale a dire la Deliberazione di Giunta Regionale n. 233 del 25 maggio 2012.
Su tale situazione, il 27 maggio scorso le due organizzazioni avevano incontrato il neoassessore regionale alle Politiche Sociali Rita Visini, «riscontrando – come spiega Mauro Pichezzi, presidente di Viva la Vita – una grande disponibilità a risolvere il problema tecnico riguardante l’impossibilità, di fatto, di utilizzare quei fondi, per consentire alle famiglie di pagare un assistente familiare, così come la Delibera di Giunta 233/12 prevede e caldeggia». «In tale occasione – aggiunge Mina Welby, copresidente dell’Associazione Luca Coscioni – c’era stato anche l’impegno a fornire una risposta entro quindici giorni, ma così non è stato, nonostante ripetuti solleciti. Proprio allora, anzi, ci era stato annunciato lo stato delle casse regionali, completamente vuote».
«Ma come è possibile – aggiungono poi – che fondi vincolati per la SLA non ci siano? Dove sono stati dirottati? Fondi, va ricordato, destinati alle famiglie, alla formazione dei badanti e al registro di patologia, perché ancora non si sa nemmeno quanti malati ci siano e dove siano».
Il comunicato riporta poi due “vicende-simbolo”, che ben testimoniano la difficoltà di certe situazioni. Quella, ad esempio, di Gerardina Cantisani, di Roma, che affronta la malattia con forza e con dignità, nonostante il grave disagio economico in cui versa, aspettando con ansia che si sblocchino i fondi. «Nel frattempo – si legge – ha messo in vendita la sua casa, si è trasferita presso la figlia insieme a suo marito – uno dei tanti “esodati” che dopo trentaciqnue anni di contributi, è in attesa della pensione -, e non si vergogna a raccontare che gli amici le pagano delle sedute di fisioterapia, le comprano alcuni medicinali e qualche genere alimentare. Sinora non le è stata neanche riconosciuta l’invalidità civile».
Vi è poi la storia di Sabrina Di Giulio, malata da più di dieci anni di SLA, che vive a Monterosi (Viterbo), con i genitori ultraottantenni che si prendono cura di lei. Parla con un comunicatore e con esso scrive: «Il mio Distretto mi nega la possibilità di scegliere l’aiuto di una badante. Ho già una badante, ma non ha seguito il corso di formazione previsto dal Decreto perché la Regione non l’ha predisposto. Queste sono contraddizioni che i malati non dovrebbero più sopportare. Perché la mia badante, che da quattro anni vive con me, giorno e notte, sa tutto quello di cui ho bisogno. Troppe volte mi è capitato di non essere capita dalle operatrici dell’ASL e se non ci fosse stata lei ad affiancarle sarebbe stato un disastro». «Nel rapporto di cura – scrive poi – è già molto difficile ottenere un’alchimia con un’altra persona, con una relazione fatta per lo più di sguardi e di piccoli gesti, ma se si ha avuto quella fortuna, è profondamente ingiusto che qualcuno si interponga a interrompere quell’equilibrio e impedisca di riconoscere la propria badante come esperta di quel malato e delle problematiche della malattia. Se la Regione ha creato questa confusione, la deve risolvere!».
«Con le recenti proteste – conclude amaramente il comunicato di Viva la Vita e dell’Associazione Luca Coscioni – tanti malati di SLA italiani hanno chiesto al Governo fondi per l’assistenza indiretta [se ne legga anche su queste pagine, N.d.R.]: ma qui nel Lazio non ci sono fondi e quei pochi non possono essere impiegati per una badante! Il 21 giugno, quindi, in cui ricorrerà la Giornata Mondiale per la Lotta alla SLA, sarà proprio l’ennesimo “giorno da ricordare” per i malati di SLA della Regione Lazio!». (S.B.)
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