Il nostro mondo parallelo insieme a Claudia

di Marina Cometto*
«Viviamo letteralmente in un mondo parallelo - scrive Marina Cometto, raccontando la sua vita insieme a una figlia con gravissima disabilità - e solo quando si offrirà a ciascuno ciò di cui veramente ha bisogno, potremo dire di vivere in una società civile. In questo senso, purtroppo, il nostro Paese semplicemente non lo è! Il resto sono solo chiacchiere e noi di chiacchiere siamo stanchi!»

Profilo di donna al buio. Sullo sfondo la luna pienaA parlare di disabilità, di disabilità gravissima, se oltre al cervello non si mette in moto anche il cuore, si rischia di stilare solamente un lungo elenco di patologie e difficoltà, di rabbia, rinunce, dolore e solitudine. Ma dopo quarant’anni, voltandosi indietro, tutto sparisce e rimane solo l’amore che ci ha portato oggi ad essere ciò che siamo, felici di quello che abbiamo realizzato, un intreccio di vite – cinque – a cui  il fatto stesso di essere insieme fa superare qualsiasi difficoltà.
Se quarant’anni fa avessi potuto scegliere, certamente – per come vedevo e pensavo la vita allora (che vuoto!), non avrei scelto Claudia come figlia, non avrei scelto di dividere la mia vita con lei, perché ero piena di preconcetti verso la disabilità, non la conoscevo proprio. E chi vorrebbe poi una vita che – a detta di chi è estraneo – è sofferta e colma di incognite?
Per fortuna non ho potuto scegliere, perché mi sarei persa questa straordinaria esperienza, non avrei conosciuto l’essere umano che dona senza bisogno di parole, che si affida a te sicuro dell’amore che tu riesci a donargli. Insomma, non avrei conosciuto, amato e apprezzato Claudia per quello che è, una meravigliosa creatura che per qualche disegno divino, del destino o della sorte (come meglio crede ciascuno di noi), mi è stata assegnata come compagna di vita, consentendoci di camminare insieme, passo dopo passo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, finché saremo su questa terra.

Come ho stretto tra le braccia la mia seconda figlia, ho provato lo stesso immenso e profondo senso di orgoglio e amore che avevo provato con la prima. Non sapevo – e nessuno mi avvisò – che qualcosa non era andato per il verso giusto. L’abbiamo scoperto noi, giovani genitori, il dolore e il senso di impotenza, ogniqualvolta un suo limite ci veniva confermato. E ogni volta l’amore che il mio cuore provava aumentava.
Abbiamo superato molti scogli, abbiamo imparato termini medici, abbiamo dato vita a sconosciuti assemblaggi fra pratica, teoria, orari e ausili, per riuscire ad essere genitori solerti e affettuosi con la prima figlia, affettuosi, combattivi e propositivi per il futuro della seconda.
Nessuna delle due – successivamente nessuno dei tre – avrebbe dovuto sentirsi ed essere in qualche modo penalizzata o “soffocata” dalla presenza dell’altra. Abbiamo organizzato veri e propri “tour de force” per i vari impegni, la danza da una parte, la riabilitazione dall’altra, la scuola per la prima figlia, la materna integrata e poi il centro educativo speciale per la seconda, qui con grande delusione. Per fortuna, però, tutti i bambini hanno oggi il diritto di frequentare la scuola, la scuola di tutti, e nonostante le molte difficoltà ancora presenti, che costringono i genitori a combattere ogni giorno, essi sanno che nessuno può negare quel diritto ai loro figli, anche se disabili. Una bella conquista!

Abbiamo dovuto scoprire, spesso a spese del benessere di Claudia, quanto inefficiente possa essere il Servizio Sanitario Nazionale, Regionale e Locale. Ancora oggi gli ospedali e i medici in genere non sanno praticamente nulla su come comportarsi con le persone con gravissima disabilità. Di fronte poi alle Malattie Rare, vuoto completo. Infatti, davanti a persone che non sono in grado di comunicare ciò che provano, se non con uno sguardo, un batter di ciglia, un lamento, ai medici – che pensano di essere i “proprietari della conoscenza” – manca spesso, oltre alla competenza, anche l’umiltà di avvicinarsi e cercare di conoscere ciò che non è scritto sui libri: il rispetto dell’altro, il diritto alla dignità, il non giudicare l’importanza di una vita dall’integrità della sua materia cerebrale.

Abbiamo imparato da Claudia quanto ogni minuto della vita sia importante, quanto assaporare ogni attimo come se fosse l’ultimo possa aiutare a viverlo intensamente e a renderlo indelebile nella memoria. Abbiamo capito che il denaro, il successo, il divertimento non rendono felici. Certo, possono rendere la vita più piacevole, ma quando si è accanto a una persona cui in ogni momento la vita può sfuggire, perché molte sono le limitazioni fisiche, ecco, allora si capisce che non è possibile sprecare la vita in cose futili. Vi sono invece persone che vivono come se non dovessero morire mai e altre che muoiono senza aver mai vissuto veramente.
Noi, compagni di viaggio di Claudia, siamo consapevoli della fragilità della vita e viviamo intensamente, per non sprecare neppure un attimo.

Le famiglie con un figlio disabile vivono un esperienza che può essere devastante. Un desolante “deserto” si presenta loro al momento della diagnosi e non si può credere o sperare che tutte riescano – come abbiamo fatto noi, senza aiuto alcuno – a vedere la luce tra tanto dolore e difficoltà. Sarebbe quindi utile che chi detiene il potere di legiferare e il dovere di sostenere le famiglie capisse finalmente che le disabilità non sono tutte uguali e non per differenza di patologia. Infatti, è ben diverso essere disabile ma riuscire comunque a organizzarsi la vita e ad autodeterminarsi, essere anziano con le disabilità conseguenti all’età, avere un coniuge disabile o un genitore che invecchia…
Avere la vita sconvolta dalla nascita di un figlio disabile, con una gravissima disabilità, significa dover riorganizzare tutto ciò che si è vissuto fino ad allora, significa resettare, rivoluzionare orari e priorità, dover rispettare il diritto degli altri figli alla serenità, essere sorridenti e tenaci anche quando ci si vorrebbe arrendere, dover lavorare e riuscire ad essere positivi nella quotidianità. Insomma, riscrivere il libro della propria vita, della propria famiglia per gli anni a venire.
Viviamo letteralmente in un mondo parallelo e solo quando si offrirà a ciascuno ciò di cui veramente ha bisogno, potremo dire di vivere in una società civile. In questo senso, purtroppo, il nostro Paese, l’Italia, semplicemente non lo è! Il resto sono solo chiacchiere e noi di chiacchiere siamo stanchi!

Presidente Associazione ”Claudia Bottigelli” per la Difesa dei Diritti Umani e l’Aiuto alle Famiglie con Figli Disabili Gravissimi (Torino).

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