Se ci limitassimo all’anatomia del loro cervello, dovremmo dire che non ci vedono. Parliamo dei bambini che nascono con lesioni dovute ad emorragie o malformazioni che colpiscono la corteccia occipitale, l’area deputata alla visione. Nonostante, però, abbiano questi danni congeniti – cioè sin dalla nascita – un gruppo di ricercatori ha recentemente notato che questi bambini rispondono agli stimoli come se ci vedessero: evitano gli ostacoli improvvisi, si spostano alla percezione dell’oggetto, si voltano verso la parte cieca. Un vero e proprio “mistero”, che un team tutto italiano ha finalmente svelato, aprendo nuove prospettive di cura per bambini e adulti con danni alle funzioni visive.
«Abbiamo scoperto che nei bambini con lesioni alla nascita – spiegano Giovanni Cioni e Maria Concetta Morrone, entrambi docenti presso l’Università di Pisa, rispettivamente dei Dipartimenti di Medicina Clinica e Sperimentale e di Ricerca Traslazionale, ma anche ricercatori presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa) per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e l’Adolescenza – la corteccia sana compensa la parte cerebrale lesionata. In particolare, lo studio che abbiamo realizzato dimostra l’estrema plasticità del cervello del bambino e quindi la sua formidabile capacità di riorganizzarsi anche dopo una lesione molto grande e potenzialmente invalidante».
Per la sua importanza, tale ricerca ha meritato la pubblicazione sull’autorevole rivista internazionale di Neuroscienze «Cortex» e l’équipe che si è resa protagonista della scoperta è multidisciplinare, comprendendo ricercatori dell’IRCCS Fondazione Stella Maris, del CNR e dell’Università di Pisa e dell’Università di Firenze.
Lo studio – che oltre a quelle dei già citati Giovanni Cioni e Maria Concetta Morrone, porta le firme di Francesca Tinelli, Guido Marco Cicchini, Roberto Arrighi e Michela Tosetti – ha in sostanza evidenziato i meccanismi con cui alcuni soggetti riescono a correggere l’emianopsia, ovvero la perdita di metà del campo visivo, acquisendo la possibilità di utilizzare i segnali visivi provenienti dal campo cieco senza averne una percezione cosciente.
«Abbiamo seguito alcuni bambini con questo tipo di lesioni alla nascita nel corso degli anni – prosegue Morrone -, sottoponendoli a imaging funzionale, ovvero all’uso della risonanza magnetica per analizzare e studiare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali. Con l’uso di queste avanzate tecnologie abbiamo potuto comprendere il meccanismo con cui il loro cervello compensa la mancanza di questa funzione visiva. La “parte buona” della corteccia, cioè, assume anche le funzioni di quella danneggiata, andando a colmare il danno che si trova nell’altro emisfero. Ed è la prova di quanto sia plastico il cervello del bambino e quindi sia capace di riorganizzarsi per far fronte alle difficoltà».
«Questo meccanismo – aggiunge Cioni – avviene solo nei bambini con una lesione congenita. Nel gruppo infatti dei bimbi che avevano avuto danni di questo tipo successivamente e quindi non alla nascita, non abbiamo assistito a questa riorganizzazione e nemmeno negli adulti. La ricerca, quindi, evidenzia chiaramente tre elementi fondamentali: che il cervello è plastico, che l’ambiente “insegna” (e che è quindi un vero e proprio “farmaco del cervello”) e che in base a quanto scoperto, potremo studiare terapie ad hoc».
Ma le ricadute di questo studio porteranno a nuove cure? «Questa – risponde Cioni – è una speranza molto concreta. Infatti, comprendendo meglio i meccanismi, potremo intensificare gli stimoli sulla plasticità cerebrale e approntare interventi terapeutici anche per tutti quei bambini con danni non congeniti e per gli adulti. Certo, siamo appena agli inizi, ma abbiamo una prima e importante risposta preliminare».
Quali terapie quindi potrebbero essere esattamente attivabili? «Mi riferisco ad esempio – conclude il docente dell’Ateneo pisano – a interventi riabilitativi con supporto di tecnologie bioingegneristiche e di Information Communication, capaci cioè di riattivare la plasticità attraverso trattamenti più intensivi e personalizzati, fatti a casa, ma con sorveglianza medica mediante la telemedicina. C’è uno studio in corso che si ricollega a questo, i cui risultati sono certamente promettenti».
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (Pisa), Roberta Rezoalli, r.rezoalli@gmail.com.
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