«Scoprite i falsi ciechi senza danneggiare i veri»: è un incipit perfetto, quello dell’ottimo articolo apparso il 5 giugno scorso sul «Corriere della Sera», a firma di Claudio Arrigoni – che già su queste stesse pagine si era espresso su toni analoghi qualche tempo prima – ma credo che ancora non sia sufficiente a far comprendere alla società, o meglio alla gente, che ci sono diverse “sfumature” di cecità, da quella totale all’ipovisione.
Il concetto di ipovisione, purtroppo, non è ancora entrato a far parte del nostro bagaglio culturale. Esistono infatti solo due possibilità: o ci vedi o sei cieco e nella mentalità comune, se sei cieco, devi andare in giro accompagnato, anche se hai il bastone bianco, mentre l’ipovedente non esiste.
E invece ci sono patologie che non hanno terapie e che portano a una degenerazione progressiva, ma inesorabile delle capacità visive, conducendo gradualmente a una riduzione del campo visivo sino alle conseguenze estreme; sono patologie come la retinite pigmentosa, la malattia di Stargardt, la degenerazione maculare legata all’età, e diverse altre come il glaucoma, altamente invalidanti e ancora poco conosciute.
Dopo molte battaglie da parte delle associazioni di pazienti, si è arrivati alla Legge 138/01, sulla Classificazione e quantificazione delle minorazioni visive e norme in materia di accertamenti oculistici. Tale classificazione divide le minorazioni visive in: ciechi totali; ciechi parziali; ipovedenti gravi; ipovedenti medio-gravi; ipovedenti lievi e ad ognuna di queste categorie corrisponde un diverso contributo pensionistico. I parametri adottati con tale legge, inoltre, prevedono per la prima volta, ai fini della classificazione, anche il residuo visivo perimetrico binoculare.
Essendo quindi che quelle prima citate sono tutte patologie degenerative progressive, coloro che ne sono affetti, aggravandosi, si troveranno a far parte di volta in volta di tutte queste categorie, da ipovedenti lievi a ciechi totali.
È tutto quanto molto complesso, vero? Ma anche molto appropriato. Perché allora, nonostante quella Legge sia stata approvata dodici anni fa, l’ipovisione è ancora incompresa? Perché – e mi permetto un gioco di parole – essa “non è visibile”? Si ha invece il bisogno di individuare, di “vedere” la disabilità, di collocarla in un luogo a parte, di sapere che è altro. Tutto ciò che non è capito non è scusato.
E quindi basta che in una trasmissione sulle reti nazionali e private si decida di fare uno scoop sui “falsi ciechi” – partendo da fatti di cronaca reali, ma trattati in maniera superficiale e oltremodo offensiva, senza dare una pur minima spiegazione sulle patologie afferenti il problema, né sulla normativa esistente -, per creare nell’opinione generale l’idea che i ciechi e gli ipovedenti siano dei “furbi” e dei “falsi ciechi”, in modo tale che anche da parte di cittadini “solerti” vengano effettuate segnalazioni alle Forze dell’Ordine e all’INPS, con le conseguenze che ormai conosciamo.
Così, però, vanno in fumo anni di lavoro, di sacrifici, e di battaglie! Esistono infatti i Centri di Ipovisione e di Riabilitazione Visiva, dove si insegna alle persone a sfruttare ogni possibilità, il proprio residuo visivo, il bastone bianco, gli altri sensi, affinché possano acquisire una pur minima autonomia, che è quello a cui aspirano specialmente i giovani. Autonomia che significa dignità, perché non essere un cittadino passivo vuol dire avere la possibilità di fare le proprie scelte, di partecipare alla vita sociale. In una parola, significa libertà.
Ed è un percorso non facile, che comporta anche un impegno economico per ausili e strumenti e che soprattutto richiede costanza, pazienza e volontà, anche se a volte si incontrano ostacoli difficili da superare, sempre ricordando, tuttavia, che non viene meno la progressione della patologia.
Ebbene, queste persone – e sono tantissime – sono le prime vittime dei “falsi ciechi” e delle truffe che vengono scoperte dalle Forze dell’Ordine. Lo sono doppiamente: da un lato perché i truffatori, con la connivenza delle Commissioni Mediche, rubano soldi pubblici già scarsi; dall’altro perché viene fatta di ogni erba un fascio, e le persone oneste, cieche o ipovedenti, si sentono sotto accusa, non vengono più credute e sono costrette a umiliazioni impensabili in un Paese civile.
La “questione dei falsi invalidi”, quindi – e nella fattispecie dei “falsi ciechi” – non solo aumenta la diffidenza e quindi allontana la voglia di fare donazioni, ma soprattutto, se trattata in maniera sbagliata e strumentalizzata, come è stato fatto fino ad ora, non aiuterà a intercettare i veri falsi invalidi, ma riporterà le persone con disabilità ad essere escluse dalla vita sociale e in questo modo la nostra società civile farà solo grandi passi indietro.
La nostra e le altre associazioni di pazienti e delle loro famiglie si stanno battendo per il diritto alla Salute, alla Vita, all’Integrità e alla Dignità della persona, ed è per questo che comunque continueremo a lavorare.