Si chiama Rita. Non la conosco personalmente. Mi ha scritto una mail incredibile. «Vi racconto brevemente la mia vita – è l’esordio -, vorrei che questo scritto lo leggessero in tanti. Volevo fare un libretto, ma è troppo breve. Mi auguro che succeda qualcosa per me o per i futuri disabili anziani».
Sono rimasto colpito, affascinato dalla capacità di questa donna di condensare in poche frasi, scritte con semplicità e qualche errore, una condizione umana vera e profondamente ingiusta, quella delle persone con disabilità che, diventando anziane, vengono private della loro autonomia e libertà, e inserite in strutture per anziani che assomigliano a un ospedale, e neppure lo sono.
Provo dunque a restituirvi la sua storia, limitandomi a correggere solo qualche piccolo errore (ma il testo è il suo). Leggetela attentamente. Vi riguarda di sicuro.
«Ero una giovane ragazza. Lavoravo, studiavo alla sera ed ero fidanzata, vivevo la vita del momento con l’esuberanza, l’allegria e la pazzia della gioventù, ma tutto finì in una tragica sera d’autunno. Ero in macchina con un amico e successe l’incidente. Fui trasportata in ospedale già in coma e più di là che di qua. Tutto ciò che subii mi è stato solo riferito. Ma la mia fortuna è che ho testa e cuore forti e superai quei brutti momenti. Molti in coma vedono luci e sentono voci, invece io non ricordo nulla, proprio nulla.
I mesi e le stagioni passavano. La mia casa era il letto, girai per cure diversi posti, poi approdai a Messina. Io di Milano mi trovavo nel Sud. Doveva essere per pochi mesi e fu invece per parecchi anni. Per un po’ di tempo fui considerata una “novità”, poi fui ben accettata dagli amici coi miei pregi e difetti. Non cammino, ho difficoltà nel parlare. Mi portavano a vedere le bellezze della Sicilia e lo splendido mare. Imparai un po’ di siciliano, ma facevo solo sorridere. Intanto anni e giorni passarono, a volte ero allegra, a volte triste, a volte molto nervosa.
Poi le cose cambiarono: negli ultimi anni non mi andava più bene la “casa famiglia” a Messina, decisi di tornare al Nord anche per essere più vicina ai miei, che non erano più ragazzini. Mi sobbarcai trasloco e viaggio da sola, non avevo parenti a Messina per un aiuto. Ero diretta a una “casa famiglia” vicino a Bologna, l’unica che mi accoglieva. Pur avendo i miei problemi, riuscii ad inserirmi e a crearmi una certa indipendenza, col personale avevo un ottimo rapporto di simpatia e amicizia.
Ma anche lì, dopo qualche anno, molte cose cambiarono. Era l’annuncio di una catastrofe; infatti andò tutto a catafascio, sorvoliamo sui motivi. Mi trovai nella necessità impellente di trovare una sistemazione per colpa del Comune e della “casa famiglia”. Ero al verde: con quello che avevo in banca pagavo la retta, e l’unica soluzione, ormai, erano i tanto odiati da me “istituti per anziani”. Ecco quindi una disabile anziana ricoverata tra anziani. Fui accolta benissimo: la struttura è tenuta bene, pulita, ordinata. Ma non è adatta a disabili che vogliono essere un po’ indipendenti. Ero troppo abituata a vivere con pochi disabili, ora fra tanta gente mi trovavo – e mi trovo – persa.
Mi sono già creata il mio mondo, grazie ai due fratelli titolari che me lo hanno permesso, però la situazione è un po’ dura per me. Qui hanno tutti molto bisogno di assistenza. Sono circa sessanta persone, per cui una che fa da sé (come nel mio caso) a volte mi pare che sia un po’ messa da parte in alcune cose per me importanti.
Anche la stessa stanza era molto personale, non come qui che pare la copia di una camera di ospedale e con mobilio poco adatto a una che si muove da sola in carrozzina. Faccio degli esempi pratici: il porta-carta che uso per asciugare le mani, per me seduta in carrozzina, è troppo alto, ci arrivo a fatica. Ma l’altezza è giusta per le operatrici che aiutano le altre ospiti. Qui il dentifricio non c’è, non lo usano, hanno quasi tutte la dentiera. Per il bagno e le lenzuola ha la precedenza chi si sporca di pipì o cacca… Io non ero prevista qui, e ciò ha portato, sia per me che per loro, dei problemi.
Alla mattina alle 7 c’è l’alzata con il bidet fatto velocemente: a volte mi pare di essere alle prove delle corse automobilistiche a Maranello. Poi qui quasi tutte portano il pannolone e giustamente a certe ore di notte vanno cambiate. Ho pure problemi di sonno e di odore. Guai se vedono la finestra aperta: le vecchiette hanno freddo, ma io? Sento “odore di vecchio” dappertutto. Coricarmi subito dopo cenato non mi va: per fortuna ho il permesso di stare al computer (in camera) fino quasi alle 21.
La mia vicina alle 19.15 circa dorme già, ma mi sveglia di notte, credo perché ho problemi di respiro, non l’ ho ancora capito. Alle 4 o alle 5 di mattina la alzano, dipende dalla flessibilità di chi è di turno di notte.
I due titolari cercano in tutti i modi di venirmi incontro, di accontentarmi. Ma hanno da badare ad altre sessanta persone. Li devo ringraziare, si chiamano Cristian e Omar. Ma io per queste comunità numerose ho sempre avuto poca simpatia, l’unica che ho conosciuto era il collegio in cui ero da piccola, quando mia madre morì. Ma ci durai poco, ero e sono un tipo ribelle. Se fai notare qualcosa che non va, dicono che non mi va mai bene niente. E poi mi innervosisce la paura che hanno di star male. Io, pur avendo una certa età, non mi sento “di vetro”, sono ancora piena di energia. So ancora distinguere ciò che posso fare da sola.
Questi sono posti per persone che magari non camminano. ma per debolezza o anche perche la testa non è più come sessant’anni prima. Nel mio caso è tutto diverso perché ho vissuto con altri disabili abbastanza giovani, più di me di sicuro. Chi ritiene giusto che le persone disabili siano messe assieme agli anziani venga a rendersi conto!
Ora confesso il mio grande desiderio: poter vivere per conto mio con la badante che dovrei pagare con la mia pensione, e non ce la farò mai, e decidere io senza dover chiedere e magari sentirsi dire “Ora non posso”. Per pagare una badante dovrei vincere al lotto o essere figlia di Onassis. Che succederà ora? Io ormai ho 70 anni, ma penso ai disabili futuri».
Ecco. Grazie Rita. Le persone con disabilità, per i Servizi Sociali, vengono quasi sempre associate ai servizi per anziani quando compiono 65 anni. Perdono in questo modo il patrimonio della loro autonomia personale, e spesso la dignità. Vivono e sopravvivono, ma su di loro, troppo spesso, si compie un’autentica violenza.
Lo hanno scritto con forza, poco tempo fa, la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) e la Caritas Ambrosiana, in uno studio realizzato assieme al Centro Servizi per il Volontariato della Provincia di Milano [“La persona con disabilità diventa anziana. Riflessioni e proposte per garantire il diritto ad una serena vecchiaia alle persone con disabilità”, N.d.R.]. Una lettura importante, ancor più dopo questo racconto stupendo di Rita. Pensiamoci.
Direttore responsabile di «Superando.it». Il presente testo, qui riproposto con minimi riadattamenti al diverso contenitore, è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “La vita di Rita: in sedia a rotelle, in una casa con sessanta anziani”. Viene qui ripreso per gentile concessione.
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