Finanziare adeguatamente i Fondi per il Sociale, anche al fine di estendere e qualificare la rete dei servizi sui territori; dotarsi di un Piano Nazionale per la Non Autosufficienza e di un Piano di contrasto alla povertà; aumentare la capacità di pagare delle famiglie italiane per l’assunzione di assistenti familiari, ma in un quadro di maggiori e migliori servizi pubblici di assistenza alle persone; favorire l’emersione del lavoro nero, aumentando significativamente gli incentivi fiscali e contributivi; favorire la qualificazione e la tutela dei lavoratori; investire per il raggiungimento degli obiettivi europei di presa in carico della prima infanzia, in particolare quelli relativi agli asili nido; raccogliere l’opportunità offerta dalla decisione della Commissione Europea che ha concesso all’Italia una maggiore flessibilità di bilancio nel 2014 per investimenti produttivi e per rilanciare la crescita: sono queste le misure strategiche alla base della proposta per il rilancio dell’occupazione, dell’economia e per il sostegno alle famiglie italiane, avanzata dalla Rete Cresce il welfare, cresce l’Italia, cui aderiscono una quarantina di organizzazioni sociali tra le più rappresentative del nostro Paese (e anche la FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), operanti nel campo dell’economia sociale, del volontariato e del sindacato.
Come avevamo riferito nei giorni scorsi, un gruppo di ricercatori, coordinati da Andrea Ciarini dell’Università La Sapienza di Roma, ha presentato uno studio promosso dalla stessa Rete Cresce il welfare, cresce l’Italia, alla presenza, tra gli altri, del viceministro al Lavoro e alle Politiche Sociali Maria Cecilia Guerra.
Si tratta di una ricerca in cui vengono individuati alcuni significativi elementi, certamente utili a supportare la convinzione che il welfare non sia un costo, ma un investimento. E si parla di dati quanto mai attuali, proprio alla luce delle recentissime decisioni della Commissione Europea, che consentiranno deviazioni temporanee dal raggiungimento dell’obiettivo di medio termine del rapporto tra Prodotto Interno Lordo e spesa pubblica: «un’occasione epocale – si legge in un comunicato diffuso dalla FISH – di investire in modo intelligente nel welfare».
In estrema sintesi, l’indagine ha evidenziato che in Europa, tra il 2008 e il 2012, nel pieno cioè della crisi economico-finanziaria e sociale, a fronte di una perdita di occupazione nei comparti manifatturieri di 3 milioni e 123.000 unità, l’incremento nei servizi di welfare, cura e assistenza è stato pari a 1 milione e 623.000 unità (+7,8%). E tuttavia, solo alcuni Paesi europei si sono resi conto che il welfare può essere un volano per la ripresa economica. Fra questi l’Italia non c’è: al contrario, il nostro Paese ha continuato a comprimere la spesa sociale, a delegare massicciamente l’assistenza alle famiglie, a mantenere limitati e risibili sgravi per l’occupazione domestica e di assistenza, favorendo in tal modo il lavoro sommerso e senza tutele.
«Destinare risorse pubbliche al welfare – si legge ancora nel comunicato prodotto dalla FISH – rappresenta, contrariamente a molti luoghi comuni, un investimento. Alcuni studi recenti confermano infatti che l’uso della spesa pubblica per creare lavoro ha effetti sull’occupazione molto più alti e in tempi più rapidi rispetto ad altri tipi di misure: fino a dieci volte superiori rispetto al taglio delle tasse, da due a quattro rispetto all’aumento di spesa negli ammortizzatori sociali o alla riduzione dei contributi sul lavoro per le imprese. Purtroppo, però, gli interventi per favorire l’occupazione non sembrano andare in questa direzione. Si preferiscono misure che continuano a puntare sostanzialmente sul miglioramento delle condizioni di occupabilità e adattabilità dei lavoratori, mentre nulla viene rimesso alla creazione diretta di occupazione attraverso un innalzamento degli investimenti finanziari nelle politiche sociali, come leva strategica per la creazione di nuovo lavoro».
Dal canto suo, ciò che potrebbe lasciare ben sperare, il viceministro Guerra ha espresso apprezzamento e condivisione per lo sforzo mirato ad aumentare la conoscenza su questi aspetti: «Conoscere e diffondere la conoscenza contribuisce a smantellare i luoghi comuni da cui derivano convinzioni e scelte politiche conseguentemente sbagliate. E il primo luogo comune è proprio che il welfare sia una spesa improduttiva, mentre welfare significa anche interventi redistributivi che possano rafforzare la domanda di servizi di cura e di assistenza».
Secondo il Viceministro, sarebbe decisamente necessario cambiare prospettiva, pensando cioè a «politiche sociali non più intese come interventi riparatori, ma soprattutto come servizi e supporti inclusivi, affinché le persone siano davvero artefici e protagoniste della propria esistenza». Proprio in tal senso, quindi, le politiche sociali non sarebbero più un costo, ma un investimento.
Per quanto riguarda infine le risorse, secondo Guerra, «non basta “conquistarle”. È necessario, infatti, che il sociale diventi sistema, progetto, programma consolidato, impossibile poi da smantellare o da comprimere. Non solo trasferimenti monetari, perciò, ma anche progetti inclusivi per le persone». (S.B.)