Ci ho fatto caso solo dopo. La Sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo, con la quale l’Unione Europea ha sonoramente bocciato il nostro Paese, rispetto al lavoro delle persone con disabilità [se ne legga già nel nostro giornale, N.d.R.], porta la data del 4 luglio.
Che strana coincidenza. Mi viene in mente Tom Cruise nello splendido film di Oliver Stone Nato il 4 Luglio. Quello era il racconto strepitoso di una battaglia americana per il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, giocato sulla coincidenza con la data in cui si festeggia il Giorno dell’Indipendenza degli Stati Uniti. Questo 4 luglio potrebbe essere il punto di svolta di una lunga discesa dagli ideali dell’inclusione lavorativa, sanciti nella Legge ’68 del ’99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili), e via via svaporati, vanificati, quasi annichiliti in dieci anni di pessima gestione e di mitridatico annacquamento delle norme.
Dovremo ricordarcelo a lungo questo “4 luglio europeo”, quando i Governi italiani (tutti, dal 2006 a oggi) si sono presi un bel ceffone dall’Europa, e ora il Parlamento deve rimediare alla brutta figura, mettendo mano, finalmente, a una rilettura tecnica, organizzativa, normativa, delle leggi in vigore, per favorire la pari opportunità di lavoro.
In questi giorni è già stato detto tutto o quasi. Ma io noto, nel leggere con attenzione la Sentenza – molto chiara e semplice nelle sue conclusioni («1) La Repubblica italiana, non avendo imposto a tutti i datori di lavoro di prevedere, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, soluzioni ragionevoli applicabili a tutti i disabili, è venuta meno al suo obbligo di recepire correttamente e completamente l’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. 2) La Repubblica italiana è condannata alle spese») – che queste poche righe chiudono un contenzioso durato anni, durante i quali l’Italia ha semplicemente provato a ribattere che non era vero, e che la nostra Legge era perfino migliore delle norme inserite nella Direttiva Europea del 2000.
Avremmo potuto metterci d’impegno a rispettare un’indicazione semplice e chiara, e invece abbiamo accettato (mi par di capire) la “legge del più forte”, ossia l’atteggiamento del mondo imprenditoriale che è riuscito a strappare ai vari Governi un tacito impegno a “non rompere le scatole” su questo tema scivoloso e pieno di pregiudizi.
Le persone con disabilità nelle aziende non le vuole almeno la metà degli imprenditori, visto che sono pronti a pagare una penale (evidentemente ancora conveniente e quindi troppo bassa) piuttosto che assumere. Quanto poi a garantire pari opportunità e condizioni di accesso al mercato del lavoro, non se ne parla proprio. Anzi. Nella sciagurata “Manovra di Ferragosto 2011” (Tremonti-Sacconi), venne consentito alle aziende di non ottemperare alla legge, in presenza di una situazione di crisi. Oggi il risultato è evidente: i lavoratori disabili non solo non vengono assunti, ma vengono tranquillamente cassintegrati e poi licenziati, con un cinismo spacciato per regole di mercato, e conseguenze della globalizzazione.
Il 4 luglio del 2014 sapremo se potremo considerare questa data un giorno da festeggiare. Entro un anno possiamo e dobbiamo pretendere dal Parlamento un comportamento coraggioso e rispettoso dei diritti di tutti. Ed è un compito non solo della politica o delle associazioni di tutela delle persone con disabilità, ma anche dei sindacati e delle organizzazioni degli imprenditori, che usano la responsabilità sociale di impresa molto spesso solo come “specchietto” per migliorare l’immagine aziendale, invece di comportarsi in modo etico e sostenibile.
Potremmo fare del 4 luglio la Giornata del Lavoro delle Persone con Disabilità. Proviamoci.