Cure dentistiche e persone con disabilità

a cura di Simone Fanti*
«Troppo spesso - dichiara Eugenio Raimondo, vicepresidente della SIOH (Società Italiana di Odontostomatologia per l’Handicap) - si presta attenzione alla patologia principale, trascurando ciò che si ritiene di minor importanza, ad esempio le cure dentarie. E le università non preparano affatto i futuri dentisti a trattamenti su persone che hanno già gravi complicazioni di salute»

Dentisti al lavoro con un pazienteUna sorta di “patto di sangue” lo lega alla disabilità. Eugenio Raimondo è uno dei pochi odontoiatri in Italia (un elenco si trova nel sito della SIOH, la Società Italiana di Odontostomatologia per l’Handicap) a occuparsi della cura dentale dei cosiddetti “pazienti non collaborativi”, persone cioè con disabilità grave, difficili da gestire da mani poco esperte.
Un amore verso il prossimo, quello di Raimondo, che ha radici profonde: «Vengo da una famiglia calabrese che tutto poteva dirsi tranne che agiata – racconta -, un papà operaio che portava a casa poco più di un milione di lire al mese e sette fratelli, di cui una sorella con disabilità, con cui spartirsi il futuro. Quando decisi di diventare medico e di trasferirmi a Roma, mio padre mi disse di non avere le disponibilità economiche per mantenermi. Gli unici soldi che avrebbe potuto darmi erano quelli della pensione di invalidità di mia sorella. Lo considerai un “prestito” e giurai che mi sarei preso cura di lei e delle persone con disabilità». Così ha fatto.

Chi non fosse a diretto contatto con il mondo della disabilità non avrà mai pensato a come si curano i denti le persone con disabilità gravi. Mi riferisco a persone con disagio intellettivo o con particolari deficit fisici oppure a persone colpite da ictus, anziani con Parkinson o Alzheimer. «Troppo spesso – chiosa Raimondo, che è anche vicepresidente della SIOH – si presta attenzione alla patologia principale, trascurando ciò che si ritiene di minor importanza, ad esempio le cure dentarie». «Ma lei – prosegue appassionato – ci starebbe con una carie in bocca che le fa male? O un ascesso? No, allora perché dovrebbe sopportarla una persona con disabilità? Tanto più che talora sono pazienti che per l’assenza di una corretta igiene dentale e per l’eccessivo apporto di cibi zuccherini, dati talvolta dai caregiver per placarne le “bizze”, sono maggiormente soggetti a problemi dentali frequenti. Paziente collaborativo o non collaborativo per me è lo stesso, ogni volta che intervengo seguo una regola di buon senso: non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te».

Ma di differenze ce ne sono molte nel trattamento di pazienti con disabilità o meno. Così l’ambiente asettico degli studi dentistici lascia spazio, nelle cliniche specialistiche, a luoghi dove “clown-dottori” giocano con i pazienti di tutte le età per conquistarne la fiducia. E non è difficile scorgere gli occhi di molti ragazzi e adulti con disabilità illuminarsi alla vista del dentista. Ma è solo apparenza, il gioco è solo un tramite per rendere l’ambiente una “grande famiglia”, dove si scherza e si gioca, ma dove si diventa seri quando la visita deve procedere. Molti pazienti, anche solo per un’igiene dentale, devono infatti essere sedati. E per un’operazione addirittura addormentati.
«Ci servono camere operatorie attrezzate – spiega Raimondo, curatore anche del libro Odontoiatria speciale per il paziente critico e diversamente abile (Milano, Edi Ermes) – e un’équipe di specialisti che coadiuvi l’odontoiatra nel suo lavoro. Medici consapevoli delle patologie e non solo della scienza dentistica. Queste équipe vanno formate e le università non preparano a questi trattamenti su pazienti speciali affinché i futuri dentisti sappiano che non si tratta di una semplice estrazione, ma di un’operazione su una persona che ha già delle complicazioni di salute».
Équipe specializzate suona ovviamente come costi elevati. «Non per le famiglie – risponde il Vicepresidente della SIOH. «Ci appoggiamo infatti a strutture convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale, così da ridurre al minimo le spese. Ma se si potessero costituire piccoli centri con sala operatoria, autorizzati a utilizzare anestetici ospedalieri in ambiente protetto, ridurremmo anche le spese a carico dello Stato».
Non resta che chiedere qual è la soddisfazione maggiore. Raimondo sorride e dice: «Quando dei genitori tornano e mi dicono di avere dormito nelle settimane seguenti l’operazione. Allora so che l’intervento ha risolto un dolore di quella persona».

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Un dentista per amico”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

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