L’immagine della lunga catena umana dei bagnanti che portava soccorso a un barcone di migranti arenatasi sulla spiaggia di Morghella a Pachino, in provincia di Siracusa, è di quelle che restano negli occhi e nel cuore. Ha fatto letteralmente il giro del mondo, rendendo giustizia a un popolo troppo spesso avvicinato, soprattutto all’estero, a fenomeni di cronaca e mafia.
Centosessanta migranti e una cinquantina di bambini e neonati sono stati tratti in salvo a braccia da chi tutto pensava potesse succedere in quel Ferragosto tranne che di salvare delle vite umane. «Le decine di bagnanti sulla spiaggia di Morghella, che si sono spinti generosamente in mare per aiutare profughi provenienti dalla Siria, in gran parte bambini, a raggiungere la riva mettendosi in salvo, sono di quelle che fanno onore all’Italia», ha commentato il presidente della Repubblica Napolitano.
Migranti, termine più corretto per chiamare queste persone, come stabilito dalla Carta di Roma [Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, N.d.R.] e dall’Agenzia per i Rifugiati delle Nazioni Unite (UNCHR), profughi o immigrati clandestini, come invece li ha definiti il leghista Matteo Salvini… qui poco importa nascondere le persone sotto una definizione, anche se – come spesso si sarà letto – le parole hanno il loro valore e rappresentano il rispetto che la società porta ai suoi membri.
Abbiamo sempre voluto guardare alle persone e non alle categorizzazioni, soprattutto quando si ha a che fare con chi poi diventa “invisibile”. Persone che diventano numeri: «Dal primo agosto 2012 al 10 agosto di quest’anno sono sbarcati sulle nostre coste 24.277 immigrati», come specifica una nota del Ministero degli Interni, e «circa un terzo di loro, cioè esattamente 8.932, è arrivato in Italia a partire dal 1 luglio scorso».
Ma se i numeri spaventano, la spersonalizzazione alimenta la diffidenza. Solleviamo quindi quel velo che impedisce di guardare i volti e gli occhi spauriti di quei bambini e di quelle donne. Tra gli occupanti di quel fatiscente barcone, c’erano anche due persone paraplegiche, «due persone che non potevano muovere le gambe», ha raccontato uno dei soccorritori. «Li abbiamo portati a braccia fin sulla spiaggia, dove li abbiamo adagiati in attesa che venisse loro prestato il primo soccorso, gli fosse dato qualcosa da mangiare e tanto da bere per ovviare alla disidratazione».
Donne gravide, bambini, molti dei quali sotto i tre anni di vita, e due persone con disabilità, ecco chi sono coloro che alimentano gli incubi di alcuni. Uomini e donne, in questo caso, fortunati a essere riusciti nella traversata su un barcone di fortuna e a essere stati raccolti dalla Guardia Costiera e dai bagnanti. A non essere finiti nelle mani di qualche organizzazione criminale, per essere poi istradati verso il crimine, la prostituzione o una vita da mendicanti, a raccogliere poche elemosine a bordo di qualche strada cittadina.
Ogni tanto, però, provo a calarmi nelle vesti di quei due paraplegici di 40-45 anni che ora sono in un centro di accoglienza. Difficile, forse, con la pancia piena e un’assistenza sanitaria che pur con molte pecche funziona. Ma cosa avrei fatto se fossi nato nella parte povera del globo, in un posto dove l’aspettativa di vita di una persona con disabilità non è molto lunga? Magari in un luogo dove il sibilo dei proiettili non arriva dallo schermo della televisione, ma da un fucile di un cecchino? Domanda retorica, avrei cercato una via d’uscita o, a dirla come Silone, un’“uscita di sicurezza”. Voi no?
Gli sbarchi si susseguono, complice il bel tempo e di quelle persone non resta che la foto: alcuni otterranno forse il passepartout di profughi e troveranno rifugio nel Belpaese, altri verranno riconosciuti come immigrati clandestini, secondo la Legge Bossi Fini, e rispediti al Paese d’origine.
Alcuni scapperanno, forse i più abili (dubito di vedere una persona in sedia a rotelle fuggire dal centro di prima accoglienza scavalcando la recinzione, così come dubito di vedere una donna gravida fare lo stesso). Di nuovo i più fragili pagheranno. Ma tranquilli, non li guarderemo negli occhi mentre torneranno mesti in patria, essi saranno già rientrati nell’invisibilità.
Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Migranti con disabilità? Seduto al loro posto sarei scappato anch’io”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.
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