C’è un’apparente contraddizione che in questo momento caratterizza un settore come il Volontariato, dove, se da un lato c’è la crisi dovuta al calo delle donazioni e alle difficoltà di turn-over dei dirigenti associativi, dall’altro si registra una crescita dell’occupazione, con un business da 67 miliardi l’anno (5% del PIL), che rimanda alla necessità di consulenti globali e nuovi manager. Il Volontariato, però, costituisce solo una parte del Terzo Settore e ha radici lontane da cui partire per comprenderne le trasformazioni e gli elementi che lo differenziano dalle tipologie di enti anch’essi non profit, ma “non Volontariato”.
Tre sono i “filoni” principali che si possono identificare: il Volontariato tradizionale, in cui dominava l’apertura umana verso i bisogni degli altri (spesso per motivi religiosi), con motivazioni di carattere individuale, anche se sostenute da un gruppo. Il Volontariato degli Anni Settanta che dato il clima di contestazione in cui nasceva, aggiunse la dimensione politica, con una forte volontà di cambiamento, per aggredire le cause del bisogno e della sofferenza; il Volontariato di oggi, dove la motivazione dominante è la necessità di dare un senso alla propria vita.
A volti e motivazioni diverse, corrispondono obiettivi e strutture diversi. Se infatti sino agli Anni Settanta si affrontavano gravi situazioni di emarginazione cui dare risposte con un lavoro completamente gratuito, ci si rese poi conto che questo non era sufficiente e nacquero così le Cooperative di Solidarietà Sociale, promosse e sostenute dal Volontariato. Successivamente si è arrivati agli Enti Non Profit, alle ONLUS, alla Responsabilità Sociale delle Imprese, con il superamento del monopolio pubblico sui servizi alla persona, in nome di un principio sancito dalla Costituzione, quello cioè della cosiddetta “sussidiarietà orizzontale”. In questi passaggi, il Volontariato ha rischiato di confondersi con le altre organizzazioni emergenti, a tal punto da rendere necessaria la specifica Legge 266/91, che ne sancisse l’elemento peculiare: il principio di gratuità.
Oggi, il rischio è quello di perdere di vista i valori cui il Volontariato si ispira, per cui la “sfida” è quella di conservarne l’anima di solidarietà, di servizio, di “scelta degli svantaggiati”, di condivisione con i più deboli e di giustizia sociale da cui è nato. Ma l’unica possibilità di farcela è quella di riuscire a mantenere e difendere la propria identità, che è appunto la gratuità.
Per fare questo, secondo il MoVI (Movimento di Volontariato Italiano), il Volontariato dovrebbe riconoscere un proprio limite: che non si possono cioè gestire gratuitamente servizi strutturati che richiedano continuità e professionalità. Il Volontariato, allora, dovrebbe assumere “servizi leggeri”, basati soprattutto sulla relazionalità. Questo limite, però, riguarda i “ruoli tradizionali” del Volontariato; oggi, infatti, esso è chiamato a svolgere in maniera determinante un ruolo politico, per la costruzione del bene comune, ovvero la promozione e la tutela dei diritti. Un ruolo che, attraverso la cosiddetta funzione di advocacy [tutela, N.d.R.], rappresenta la sfida più forte a tutti i livelli: locale, dove il taglio dei trasferimenti di risorse agli Enti riduce i servizi e fa aumentare le disuguaglianze tra i cittadini; nazionale, dove le riforme imposte sul principio della “quadratura dei conti” danneggiano i più deboli; mondiale, dove la globalizzazione ha evidenziato le ingiustizie nei rapporti fra i Paesi ricchi e quelli poveri.
Ma per passare ad azioni efficaci, il Volontariato ha bisogno di conoscenze e cultura specifica, di strumenti adeguati, di alleanze all’esterno e all’interno. Deve cioè acquisire la capacità di esprimere e promuovere i diritti, con la presenza nelle Consulte e nei Tavoli di Concertazione Politica e controllando che gli impegni vengano mantenuti. Tutto ciò implica la necessità di una seria e continua formazione, di base, sul significato, sulle motivazioni e sui ruoli del Volontariato nell’attuale società; operativa, per essere in grado di far bene i servizi che si vanno a compiere; permanente sul campo, riflettendo con l’aiuto di esperti sulle proprie esperienze, per valutarle e migliorarle; sociopolitica, per sapersi rapportare in modo coerente, libero ed efficace con la società e le istituzioni a tutela delle persone in situazioni di svantaggio.
Direttore operativo della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Il presente testo è già apparso in «DM» n. 180, periodico nazionale della UILDM, con il titolo “Il volontariato oggi” e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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