Diritto di cura e libertà di scelta sul fine vita

«Due concetti che non vanno contrapposti», secondo Fulvio De Nigris, presidente dell’Associazione Gli Amici di Luca, che parteciperà il 31 agosto alla tavola rotonda denominata “Tra fede e ragione: dalla filosofia alla realtà”, nell'àmbito di “PsiSofi”, Festival delle Arti Umanistiche di Rionero in Vulture (Potenza), confrontandosi, tra gli altri, anche con Mina Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni
Fulvio De Nigris e Mina Welby
Fulvio De Nigris, fondatore dell’Associazione Gli Amici di Luca e Mina Welby, co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni, si confronteranno durante la tavola rotonda del 31 agosto a Rionero in Vulture (Potenza)

L’uomo ha il dovere di salvaguardare la vita o ha il diritto di morire? Sarà questa la delicata domanda al centro del confronto tra Fulvio De Nigris, fondatore dell’Associazione bolognese degli Amici di Luca e Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni, in programma sabato 31 agosto a Rionero in Vulture (Potenza), presso la residenza storica del meridionalista Giustino Fortunato (Via Garibaldi 2, ore 19.30).
Alla tavola rotonda – denominata Tra fede e ragione: dalla filosofia alla realtà e organizzata all’interno della prima edizione di PsiSofi, Festival delle Arti Umanistiche promosso dall’Associazione Socio-Culturale Le Monadi, in collaborazione con le Associazioni del Sistema Vulture – parteciperanno anche Maurizio Mori, docente di Bioetica all’Università di Torino, Elena Mancini della Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) e il sacerdote missionario don Ferdinando Castriotti.

«Diritto di cura e libertà di scelta – sottolinea Fulvio De Nigris – non sono da contrapporre. Negli ultimi anni, però, a seguito delle vicende di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro, i media hanno enfatizzato la “corsa al fine vita” come se fosse l’unico problema degli italiani, la prima emergenza di un Paese che ha dimenticato migliaia di persone con gravi disabilità, insieme alle loro famiglie che le assistono, e le considera “cittadini di serie B”. L’incapacità di discernere tra chi può liberamente autodeterminarsi (Welby) e chi ha una coscienza alterata per farlo (il caso di Eluana) ha fatto il resto».
«La cura – aggiunge ancora De Nigris – non è più un diritto per tutti e molte famiglie sono abbandonate a se stesse. La morte non fa più parte della vita e non c’è più una cultura del morire. Per evitare dunque che i cimiteri siano solo “discariche di rifiuti umani”, bisogna riappropriarsi dei nostri corpi, della loro storia, delle loro relazioni, della loro fragilità nella malattia. Comprendere che non ci sono scorciatoie nel tramonto della nostra vita che purtroppo può avvenire anche in giovane età. Noi combattiamo per questo, per i diritti violati di chi ogni giorno vive “vite differenti”». (Ufficio Stampa Agenda)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@agendanet.it.

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