Va indubbiamente interpretato come un interessante passo avanti, nella presa in carico di persone che soffrono di disturbi dello spettro autistico e delle loro famiglie, la Delibera 392 del 12 luglio scorso (Attivazione di interventi a sostegno delle famiglie con la presenza di persone con disabilità, con particolare riguardo ai disturbi pervasivi dello sviluppo e dello spettro autistico), con la quale la Giunta Regionale della Lombardia prevede che siano le ASL a svolgere tal compito. Le Aziende Sanitarie Locali dovranno quindi occuparsi di svolgere attività di informazione, orientamento e accompagnamento della famiglia e della persona con disabilità. Inoltre, dovranno occuparsi anche della consulenza, del coordinamento e del raccordo dei diversi attori del sistema dei servizi (Comuni, Ambiti Territoriali, Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Scuole ecc.). Nello svolgimento delle attività di “case management”*, infine, le ASL potranno avvalersi «del contributo di realtà significative», accreditate con il sistema socio-sanitario.
Si tratta dunque di un provvedimento che va a risolvere alcune criticità particolarmente drammatiche, come ad esempio la presa in carico dei ragazzi con autismo che, con la maggiore età, non possono più rivolgersi alla Neuropsichiatria Infantile e che non trovano adeguata assistenza nei servizi per gli adulti.
Soddisfatta del testo della Delibera si dichiara Anna Curtarelli Bovi, presidente dell’ANGSA Lombardia (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici): «La Delibera – annota – è stata fatta bene: da tempo chiedevamo che l’ASL fosse il punto di riferimento per una presa in carico globale. Ora dovremo valutarne gli sviluppi e vedere in che modo verranno attuati questi provvedimenti».
«È un atto molto rilevante – sottolinea dal canto suo Franco Bomprezzi, presidente della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) – che segna, per la seconda volta in poco tempo [il riferimento è a una recente comunicazione dell’assessore regionale Cantù, di cui abbiamo parlato in altra parte del nostro giornale, N.d.R.], un momento di reale discontinuità con il passato. Non possiamo infatti non essere soddisfatti ogni volta che si delinea un modello di intervento basato sulla presa in carico delle persone con disabilità».
Da ricordare inoltre che il provvedimento è sostenuto da un finanziamento di 2 milioni e mezzo di euro che appare adeguato. Non resta dunque che attendere i «successivi atti della Direzione Generale Famiglia», previsti dalla Delibera per l’attuazione della stessa, segnalando tuttavia anche un dubbio e un auspicio, che derivano dal provvedimento. «Il dubbio – dichiara Bomprezzi – è rappresentato da un approccio ancora prevalentemente sanitario sotteso alla scelta di rivolgersi ad un gruppo di persone identificate per la loro menomazione e non per i loro bisogni e condizioni di vita, lasciando sullo sfondo il contesto sociale della disabilità conseguente al disturbo. Con questa carenza di approccio si dovranno confrontare gli operatori che attorno alla persona costruiranno il progetto di presa in carico. L’auspicio, invece, è che questo modello, dopo una doverosa messa a punto, non solo non venga a cessare dopo l’anno di sperimentazione, ma anzi si estenda all’intera platea delle persone con disabilità in situazioni analoghe, indipendentemente dalla patologia diagnosticata». (Ufficio Stampa LEDHA)
*Il “case management”, letteralmente il “referente del caso”, è l’insieme coordinato delle operazioni e dei processi volti a garantire che un assistito riceva i servizi di cui abbisogna nel modo migliore possibile, sia dal punto di vista dell’efficacia sanitaria che da quello dell’ottimizzazione economica.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it, segreteria@angsalombardia.it.
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